lunedì 4 febbraio 2019

LA PARTITA - capitolo 4/10 - Francesco


Se volevo realizzare la mia idea dovevo farmi aiutare da qualcuno e Francesco mi sembrava la persona giusta. Era un mio amico di 21 anni appena tornato da sei mesi di missione in Brasile. Uno di quegli amici che conosci da poco e anche se viene da percorsi diversi, ti accorgi subito che parla la tua stessa lingua. Cercai di spiegargli bene la situazione: sono una quindicina di ragazzi un po’ particolari, forse nessuno ci scommetterebbe, ma ho intravisto qualcosa dentro i loro occhi che brucia, come una fiamma. Qualcosa che mi ha fatto sognare in grande. Abbiamo deciso di incontrarci ogni domenica pomeriggio per giocare a pallone, ma il centro vero è la vita. Cercarne il senso. La percentuale di fallimento è altissima. Appartengono a religioni e culture diverse, ma sono legatissimi tra loro e sono abituati a vivere per strada. Però tu sei un ragazzo abbastanza fuori di testa per capire ciò che intendo. Altrimenti non saresti mai partito per conoscere i poveri del Brasile...


Ero certo che Francesco avrebbe accettato la mia proposta e insieme iniziammo a immaginare il futuro. Lo schema era semplice: dovevamo unire teoria e pratica, far vivere loro delle esperienze forti, ma allo stesso tempo renderli consapevoli. Farli pensare e farli sognare. Cosa difficile in un mondo che per impedirti di pensare alza il volume. Da qui il grande successo delle cuffiette: anestetizzano e rendono il contorno immensamente piatto e non interessante. Mentre loro avevano bisogno di allargare lo sguardo, diventare più curiosi e uscire dalla tana in cui stavano.
Io e Francesco abbiamo deciso di rischiare, alzando la posta in gioco. Una domenica, finita la partita, abbiamo proposto ai ragazzi di pregare prima di fare merenda. Atei, musulmani, cristiani, chi più ne ha più ne metta. A condividere la cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato. Il luogo prescelto era la cappellina feriale: sobria, accogliente e neutrale. Era come portare una mandria di cavalli selvaggi dentro il recinto, ma si sono fidati di noi, lasciandosi guidare. Ci hanno ascoltati mentre prendevamo parola dicendo: dovete sapere che ognuno di noi non è qui per caso. Chi si trova qui è stato scelto. E non è vero che siete dei falliti o ragazzi cattivi. Siete dei pezzi unici. Solo che al momento avete espresso l’1% del vostro potenziale, ma se lo volete davvero, un giorno, presto, potrete realizzare cose stupende e trasformare le vostre vite. Non dovete credere a chi vi dice che siete irrecuperabili.
E adesso vi alzerete. Uno alla volta. Direte ad alta voce “Io Francesco sono stato scelto, io Matteo sono stato scelto, io Ablo, io Youness, io Lorenzo, io…sono stato scelto”.
Ci fu un po’ di imbarazzo iniziale, ma una volta sciolto il ghiaccio tutti i ragazzi si alzarono gridando il proprio nome e dicendo che qualcuno li aveva scelti per essere lì, in quel posto, in quel preciso momento. Così, nel mezzo di tutta quell’energia sprigionata, invitammo i ragazzi a pregare, ringraziando per le cose belle che avevano ricevuto: la famiglia, gli amici, la vita…
Fu un momento molto forte. Emozionante. Il primo segnale che qualcosa in loro poteva cambiare davvero. Sentivo che il loro cuore aveva provato qualcosa di nuovo, ma era giunto il momento di vivere la teoria sulla pelle, quindi facemmo l’annuncio: “domenica prossima andremo tutti sul Monte San Vicino, la neve ci attende!”

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