lunedì 28 gennaio 2019

LA PARTITA - capitolo 3/10 - Sanfi

Era nato qualcosa di nuovo nel modo più semplice del mondo: una partita a pallone con merenda. Di certo non ero andato a cercarli quei ragazzi. Ci siamo semplicemente trovati, nel campetto della parrocchia. Allo stesso tempo era cresciuto in modo naturale il desiderio di rivedersi la settimana successiva. “Domenica prossima se avete piacere potremmo organizzare un torneo” dissi loro, “Io porto la coppa e un’altra merenda, ma mi dovete promettere che non partirete all’assalto della torta come disperati”. Tutti si dicevano d'accordo. Sarebbero tornati e avrebbero chiamato anche altri ragazzi. Dovevate vedere l’entusiasmo. Per così poco...

Eppure ho scoperto che quel poco per loro era tantissimo. Anche se all’apparenza potevano sembrare forti e incuranti delle regole in realtà non lo erano per niente. La verità è che si sentivano sbagliati. Erano talmente abituati a fare la parte degli antagonisti che si erano rassegnati a quel ruolo. A detta loro sapevano soltanto giocare a calcio. L’unico sfogo, l’unica dote. Quindi è bastato mettersi in mezzo e viverci. Si sono sentiti presi in considerazione e forse voluti bene. Mi ero accorto subito che era scattata una scintilla. Avevo in qualche modo conquistato una piccola parte del loro territorio e da lì potevo iniziare a scendere in profondità. Togliere la crosta. Le finte maschere. E scoprire chi erano veramente.
Si avvicinò Sanfi, scatto bruciante e occhi di ghiaccio. Mi guardò stretto e con un leggero ghigno disse “Ehi mister, vuoi sapere la verità? Lo sai perché torniamo la prossima volta?”. Ero davvero curioso di scoprirlo e mi misi ad ascoltarlo con attenzione. “Noi siamo tutti poveri - continuò - e qui almeno c’è da mangiare”. Ecco, pensai, svelato il secondo ingrediente segreto: dopo il pallone, il cibo. Quindi io ero il mister (in effetti avevo proposto solo una partita di pallone) e loro i ragazzi del San, figli randagi del quartiere popolare di via Mario Saveri. Con tanta fame. Ma non era solo questione di cibo. Quella non era la fame di chi soffre solo di vuoti di stomaco. Quella era fame di vita.
La domenica si trasformò in un appuntamento fisso, irrinunciabile. Cascasse il mondo, tutti al campetto dietro la Chiesa. E ben presto mi resi conto che il calcio non poteva bastare. Iniziai a pensare a cosa potevo proporre di nuovo per non lasciare che tutto stagnasse in un incontro di sport. Non volevo fare una proposta “normale”, come ce ne sono tante. Sognavo di costruire un percorso, un cammino da fare insieme ai ragazzi, per farli crescere, per aiutarli a scoprire quanto di bello avevano nella loro vita senza nemmeno saperlo. Ogni giorno con la fantasia cercavo di immaginare, inventare. Fino al giorno in cui si accese la lampadina. Avevo trovato l'idea giusta che avrebbe tracciato il primo pezzo di strada: dovevo farli uscire dal loro buco...

Nessun commento: