giovedì 14 marzo 2019

LA PARTITA - Capitolo 9 - Ablo


Volevo proporre ai ragazzi un nuovo modo di vedere il mondo, ma vi assicuro che non è facile: ogni giorno trovavo mille ragioni per arrendermi e convincermi che stavo solo perdendo tempo. Forse è da pazzi o da ingenui pensare di tirare fuori qualcosa di buono da un gruppo di ragazzi che tutti considerano “spacciati”. Che senso ha dire loro che sono stati scelti e che qualcuno li ama, quando non vedi i risultati che speravi?
Eppure, nonostante tutto, c’è sempre una luce che resta accesa. Anche quando sembra stia per spegnersi, una mano la ripara dalla corrente. Una parola o lo sguardo di un ragazzo di 17 anni come Ablo che dice “il nostro incontro mi ha cambiato, la mia vita non è più la stessa, anche se a volte fatico a dimostrarlo”...
Questo mi da la forza per continuare a camminare insieme ai ragazzi, ma con un piglio diverso. Provando a dire grazie, anche per le cose più piccole. Benedire anziché maledire. Cercare di fare silenzio in mezzo alla confusione di questo mondo. Senza vergognarsi delle proprie fragilità. Imparare a dare un nome alle cose, soprattutto quando si tratta di affrontare il proprio dolore. Regalare qualcosa di sé ai più poveri. Imparare a perdere quando tutti dicono che conta solo vincere. Ecco l’avventura più vera: cercare il senso profondo della vita.
Credo che cercare sia un verbo che si riassume nella parola Dio.
Con l’arrivo dell’estate proposi una nuova sfida ai ragazzi del San: fare gli aiuto-animatori al Centro Estivo parrocchiale, al fianco degli educatori più esperti. Per tre settimane in mezzo a più di 200 bambini divisi in 8 squadre, cercando di imitare lo stile di San Giovanni Bosco. Giochi, canti, attività, gesti caritatevoli verso i più bisognosi, preghiera. E’ stata una vera impresa, con alti e bassi, ma che li ha messi a confronto con una dinamica nuova: educare.
Educatori non ci si improvvisa, ma molto spesso è più importante gettarsi nella mischia e sporcarsi le mani, piuttosto che apprendere fredde teorie da manuali o da sussidi.
In ogni caso questo periodo così intenso è stata un’occasione di crescita per tutti. Per capire che fare un cammino significa anzitutto “dare le mani a qualcuno”: una mano per dare e una per ricevere. Una per amare e una per essere amati. Una per educare i più piccoli e una per essere educati da chi ha fatto un pezzo di strada in più. L’importante è non restare da soli, conoscere bene le persone a cui si da la mano e fidarsi.
Certamente non tutti hanno la “stoffa” per essere degli ottimi educatori, ma in ogni ragazzo c’è qualcosa di speciale che lo rende unico. E’ come un tesoro che spesso rimane nascosto, ma che va scoperto e valorizzato. Il giorno in cui avviene questa scoperta accade qualcosa di straordinario perché cambia lo sguardo e il modo di vedere il mondo. Ma il vero miracolo si manifesta quando i ragazzi prendono il loro tesoro e anziché tenerlo per se stessi, lo donano agli altri. A partire da quel giorno sarà cambiato anche il loro cuore e potranno sognare una vita a colori.

Nessun commento: