lunedì 28 febbraio 2022

NON E' UN ADDIO - Yaroslav

Ti ho riconosciuto in tv. Alto, biondo, fisico atletico. Yaroslav, amico e fratello mio, sei sicuramente tu. Non ci posso credere. C’è una telecamera che ti riprende e stai parlando con la tua bambina, faccia a faccia. Tua moglie ti stringe forte la mano. Forse state per dirvi addio, ma non vuoi pronunciarla nemmeno per scherzo quella parola così orribile. E giuri che prima o poi tornerai da loro. Abbracci forte tua figlia, avrà 5 o 6 anni ed è bellissima. Un fiore di campo, unico e fragile. Hai gli occhi stretti di uno che vuole fare il duro. Fai l’uomo coraggioso, fiero di essere ucraino e pronto a tutto per difendere ciò che ami...
Poi lei, così piccola, ha la forza di toglierti la maschera e cancella i tuoi ultimi sforzi: dalla tasca del suo cappotto rosa tira fuori un foglietto. Un disegno a pastello chiaro. Ci siete tutti e tre, mano nella mano e un cuore. Rosso come l’amore. Ecco che ti vedo crollare e le lacrime si prendono tutto lo spazio che vogliono. Ti lasci andare e si mescola tutto davvero velocemente: abbracci, singhiozzi, rivoli, mani, baci e ti amo. Il tempo sembra non avere più senso. Tra poco il pullman parte e loro andranno in un posto più sicuro, mentre tu caro Yaroslav ti unirai agli altri uomini. Dovrai imparare ad usare il fucile per difendere ciò che hai di più prezioso. Sei disposto a combattere, a dare tutto te stesso, anche la vita se necessario, per la tua famiglia, la tua patria e il loro futuro. Sono certo che sei proprio tu. Dallo schermo riconosco la stessa determinazione e istinto alla vita. Anche se ormai è passato diverso tempo da quando sei scampato alla prima tragedia: l’esplosione di Chernobyl del 1985, l’anno in cui siamo nati.

Ricordi quando ci siamo conosciuti? Avevamo entrambi dieci anni e sei venuto a casa mia per alcuni mesi. Legambiente aveva aperto un canale umanitario per bambini colpiti dalle radiazioni tossiche e i miei genitori avevano dato la disponibilità per ospitarti. Sei arrivato magro e pallido. Nella tua valigia scarna, un pesce essiccato, una matrioska e un porcospino di vetro. Il dono che i tuoi genitori avevano scelto per noi. Un tesoro simbolico per dirci grazie per quello che state facendo. Avevi gli occhi pieni di fame e tanta voglia di giocare. Ti piaceva il calcio e arrampicarti sugli alberi. Per questo abbiamo imparato subito a parlare la stessa lingua: italo-russo-gestese. Una lingua spontanea che unisce tutti i bambini del mondo. Che non guardano al colore della pelle, alla cultura di origine o agli interessi, ma sanno condividere il pane quotidiano, la casa, la camera da letto, i giochi e i sorrisi. Abbiamo persino imparato a litigare, ma anche a fare la pace dopo due minuti.

Questa volta sono io che devo dirti Grazie. Per il tuo esempio e la tua forza. Perché non ti sei mai arreso, nonostante la vita ti abbia messo a dura prova da sempre. Adesso l’inquadratura si è allargata. La tua bimba e tua moglie sono sul pullman in partenza e mi vengono dei dubbi: sei davvero tu Yaroslav, fratello e amico mio? O sei uno dei tanti eroi che hanno scelto di resistere a Kiev? Non lo so, ma non importa. Mi piace immaginarti così. L’operatore inquadra da vicino una mano grande che si allarga sul vetro del finestrino e si sovrappone a una mano più piccola. Un’altra manda baci mentre le distanze diventano inesorabili. Il significato è chiaro: qualunque cosa accadrà non è un addio. Prima o poi vi riabbraccerò, ma adesso va piccola mia, il tuo papà deve mantenere le sue promesse.

Matteo

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