martedì 25 gennaio 2022

FIGLIA DI DIO - Tra sogno e realtà (Capitolo 1)

Diciamo che la mia vita non è iniziata nel migliore dei modi. Anzi, forse non poteva cominciare peggio. Oltretutto, come spesso accade in certi film un po’ malinconici, quel giorno pioveva. Cielo grigio e pioggia a catinelle. Evviva! Forse Dio era triste e piangeva perché la mia mamma mi stava abbandonando. Fatto sta che qualcuno  la portò all’ospedale, lei fece tutta la trafila del parto e disse “no grazie, non la voglio”. Una cosa terribile e cinica starete pensando voi e lo penso anche io, ma è pur sempre la mia mamma...

Oltretutto vi assicuro che è inutile cercare di capire il perché, tanto non lo scoprirete mai. Ho fatto mille ricerche, ma senza arrivare a nulla: magari era povera e sola e non aveva avuto altra scelta o era semplicemente pazza, oppure chi se ne importa, sarà sempre e comunque la mia mamma. La donna che mi ha messo al mondo. Sangue del mio sangue. Il punto è che decise di non volermi. Così un’infermiera di nome Grazia mi strinse a sé, andò a togliermi la camicia, mi lavò per bene con l’acqua tiepida, tagliò il cordone, mi pesò, prese le misure, mi vestì e mi amò profondamente, come fossi stata sua. Quanto amore c’era in quegli occhi lucidi. Io che parlavo la mia lingua di neonata fatta di piccoli versi e lei che mi dava ogni benedizione del mondo. Continuava a dire che ero tanto bella con quegli occhi lì e che meritavo una vita splendida. Piangeva in silenzio, in modo così dolce che sembrava una ninnananna e questo mi calmò. Non piangevo più. Avevo brillantemente superato il primo trauma dell’aria e percepivo una luce calda. Iniziavo a sentirmi a mio agio. Credo che la sua preghiera sia stata ascoltata.

 Francesco e Nicoletta erano sposati da dieci anni e non potevano avere figli. Accettarlo non è stato facile, comprenderlo nemmeno, ma ormai avevano capito che il buon Dio aveva altri progetti per loro. Francesco era più sereno, non era uno che se la prendeva troppo, quasi in modo freddo a volte diceva: “è come lamentarsi del fatto che piove, è una cosa più grande di noi, non possiamo farci niente”, poi la stringeva forte a sé per dirle anche quello che non riusciva ad esprimere a parole. Cercava di caricare la situazione sulle sue spalle per alleggerirle il peso, ma non era per niente facile. Terreno molto insidioso. Nicoletta invece percepiva una ferita dentro che ogni tanto tornava a farsi sentire e calava un velo di profonda tristezza. Poteva succedere di giorno mentre guardava fuori dalla finestra, così come di notte, nel pieno del sonno. Le veniva in mente il giorno delle nozze...

-siete venuti a celebrare il Matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?

Avevano risposto Sì, con il cuore in gola.

-Siete disposti, seguendo la via del Matrimonio, ad amarvi e a onorarvi l’un l'altro per tutta la vita?

Di nuovo Sì.

-Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?

Quanto aveva desiderato pronunciare quel Sì. Era un istinto, un desiderio viscerale, sentiva che amare Francesco era aprirsi a qualcosa di nuovo. Sognava che Dio potesse servirsi di loro per far nascere un Suo figlio, una creatura nuova che loro avrebbero cresciuto con tutto l’amore, tutta la dedizione possibile. Già immaginava una femmina. Magari sarebbe assomigliata un po’ a lei, ma avrebbe avuto anche le caratteristiche di Francesco, il suo sguardo delicato, la sua forza di volontà.

 Ancora non avevo un nome, ma tutti già mi facevano la festa. L’ostetrica, il chirurgo, l’anestesista, l’assistente, la capo sala, tutti volevano vedermi neanche fossi Gesù bambino o la principessa d’Olanda. Sembrava facessero a gara a chi mi volesse più bene. La mia mamma invece l’hanno portata via, da un’altra parte. Chissà cosa pensava. Avrà pianto almeno un po’? Le sarò mancata ogni tanto? Non so.  In ogni caso mi dovevo organizzare, o meglio, erano i miei amici vestiti di bianco che dovevano occuparsi di me e decisero che per un po’ di giorni sarei rimasta insieme a loro e io, tra tutti i bambini del reparto di ostetricia-ginecologia, sarei diventata la loro preferita. Si, devo ammettere che mi hanno trattato come una regina: vestiti comodi, materasso ortopedico, ottimo cibo e in abbondanza, non mi facevano mancare nulla, poi bastava che strillassi e qualcuno per me c’era sempre, per qualsiasi esigenza, a qualunque ora.

Dicono che la fede sia un dono, ma che va custodito e alimentato, come una lampada esposta al vento. Francesco e Nicoletta erano cresciuti in famiglie che avevano da sempre trasmesso loro la fede cristiana. Una fede semplice, ma concreta e coerente. Erano maturati con quell’impronta lì e su quella roccia avevano fondato le proprie scelte di vita. Nel loro matrimonio c’era tutto ciò che avevano respirato dai loro genitori. Ma arrivò il giorno in cui molte certezze crollarono: il medico disse che persistevano riscontri oggettivi che davano come esito la sterilità. E ciò che inizialmente era solo un timore si trasformò in scottante certezza. Era come un tarlo che iniziò a scavare nella mente e scavava gallerie profonde: mi sento così sbagliata – si sfogava col marito - perché hai scelto noi? Cosa dobbiamo fare adesso? Perché non Lo sento più in mezzo a noi?

La dottoressa entrò all’improvviso che quasi presi paura. Che succede? Pensai. L’ennesimo parto indotto? Ma era me che voleva. Mi prese in braccio e mi coccolò come un gattino. Era tutta elettrica, sembrava dovesse dirmi qualcosa di importante e infatti qualcosa c’era sotto. Eccome.

Ehi bellissima – mi disse con voce tenue -lo sai che domani arriva una grande regalo? Conoscerai il tuo babbo e la tua mamma!!! Sei felice?

Iniziai a dimenarmi dalla gioia. Braccia e gambe a mulinello, smorfie di lingua. Ma certo che ero felice, non che lì dentro mi trovassi male, per carità, però cominciavo a pensare che si fossero dimenticati di me, e invece il Grande Capo stava solo rifinendo gli ultimi dettagli, ma era da un pezzo che stava lavorando al progetto. Solo che tutti i punti dovevano combaciare perfettamente per realizzare il capolavoro. Mica è un pressapochista quello. O grandi miracoli o niente. E io, che altro non sono che una piccola creatura, dubitavo. Come tutti del resto: non abbiamo la visione dall’alto come ce l’ha Lui, quindi a volte prendiamo le cantonate. Ci perdiamo nei dettagli. Siamo un po’ miopi, ecco.

Poi un giorno, senza preavviso Nicoletta rispose a una chiamata molto importante. L’assistente sociale la informò che avevano intercettato il caso di una bambina “non desiderata” e che serviva una famiglia che la accogliesse. Ed ecco, anni di attesa e delusione che da un momento all’altro si scioglievano come zucchero nel caffè e prendevano una nuova forma. Certo era tutto ancora da vedere, verificare meglio, documenti da approfondire, fogli da firmare, ma insomma, non c’era più tempo da perdere... Francescoooo! Hanno chiamato, dobbiamo andare, presto, oddio mi viene da piangere... si, piango. Piango di gioia, che bello, non ci posso credere...grazie, grazie, grazie! Francesco e Nicoletta si abbracciarono a lungo. Per un po’ non riuscirono a dirsi tante cose, poi quando arrivò un po’ di consapevolezza si misero a sedere in cucina. Dio aveva realizzato il loro sogno, dopo anni di attesa, quando ormai avevano perso la speranza, quando la vita sembrava spegnersi, era arrivata la luce. Potentissima. Si sentivano così piccoli. Polvere mossa dal vento. Un vento caldo, grande, immenso e misterioso che disponeva le cose per amarle. 

Ma ve lo riuscite a immaginare quel momento li? Concentratevi e chiudete gli occhi, dai. Avete idea di come si sentivano quei due? Ve lo dico io: stavano in un brodo di giuggiole. Troppo felici. Talmente felici da rischiare l’incidente in macchina lungo il tragitto per arrivare fin qua (no, cioè, era solo per usare un’espressione forte). E io, diciamocelo sinceramente, ero una bambina vissuta nonostante i sette giorni di vita, ma ero già pronta per ricominciare da capo. C’era stata una falsa partenza. Pronti-via-stop. Un piccolo incidente proprio all’inizio del percorso, ma adesso si faceva sul serio. Si cominciava a vivere davvero. Chissà perché il Grande Capo aveva deciso di realizzare un disegno così elaborato, solo Lui lo sa. Forse voleva che ci incontrassimo a tutti i costi. Mille strade lontane per arrivare a noi tre. Comunque anche io ero molto felice e avevo di che ringraziare il buon Dio per il grande regalo che mi aveva fatto. Sarebbe stato molto peggio se mi avessero abbandonata in un cassonetto e fossi morta soffocando tra le bucce di banana. Che schifo! O se fossi dovuta crescere in un istituto per bambini orfani. Per carità!Senza genitori la vita di una bambina è terribile.

-Ehi ciao piccolina, come stai? Disse la mia mamma nuova di zecca. Ti abbiamo aspettato così tanto, ma alla fine sei arrivata…

Mi cullava davvero bene per essere alla prima esperienza e così mi lasciai andare, cercavo di ridere un po’ per farli felici. Mentre il mio nuovo papà era abbastanza imbalsamato. Non sapeva come muoversi, si grattava la testa, faceva versi idioti come se capissi l’idiotese, che ridere. Eh si, erano proprio belli e felici al cento per cento.

Così era giunto il momento di salutare i miei amici-eroi con il camice bianco. Gente davvero in gamba, che si era scelta un lavoro speciale, che era più di un lavoro: era una missione per far vincere la vita ogni giorno! Uno dopo l’altro passarono a dirmi ciao e in bocca al lupo per tutto, mi raccomando torna a trovarci! Chi mi lasciò una carezza, chi un fiore, chi un sorriso. Accettai tutto perché erano doni preziosi come l’oro, l’incenso e la mirra dei Re Magi. Oramai tutti avevano capito chi ero, non era più un segreto. Avevano seguito la stella. Avevano percorso tanta strada, con poche certezze, scarsi mezzi e trovato mille dubbi sul cammino, ma si erano accorti che se ti fidavi e la cercavi con gli occhi di un bambino potevi vederla. Poi, un giorno come tanti, ma diverso dagli altri, capivi. La stella conduceva lì. In quella stalla o in quell’ospedale, dentro la culla di una creatura indifesa, ma così preziosa perché abbandonata e ritrovata. Ero figlia della mia mamma, ero figlia dei miei nuovi genitori, ma prima di tutto ero figlia di Dio. Straordinario no?

Adesso sono diventata grande. Sono cresciuta e mi hanno spiegato tante cose del mio passato. Dentro di me c’è ancora un’ombra, una cicatrice che rimarrà per sempre, ma le ho dato un nome, la conosco, so che è parte di me e non la odio per niente, anche se avrei avuto mille ragioni per farlo. Ho deciso di guardare in avanti, con speranza. Ho ricevuto tanti doni che mi hanno aiutato ad essere forte e a diventare la donna che sono oggi. Questi doni si chiamano persone: sono nomi, sono volti che mi hanno amata e continuano ad amarmi. I miei genitori, quelli che giorno dopo giorno mi erano accanto non hanno mai smesso di considerarmi una carezza di Dio. E loro sono stati lo stesso per me. Nonostante le fatiche e i problemi abbiamo superato ogni ostacolo, ma li ringrazio ancora di più perché mi hanno aiutata a trovare gli strumenti per superarli anche da sola e mi hanno lasciato libera di scegliere la mia strada. Oggi sono diventata mamma anche io. Mia figlia si chiama Grazia, come la prima persona al mondo che mi ha amata davvero, ma è anche il nome che usa Dio per accarezzare i suoi figli e dimostrargli quanto bene vuole loro. Poco fa ero a casa e le ho dato il bacio della buona notte, si è addormentata nel letto con mio marito. Bellissimi. Io sto per iniziare il turno di notte e mi sento felice perché faccio il lavoro che ho sempre sognato. Ogni giorno continuo a ricevere tanti regali: mi aggiusto i capelli, faccio un respiro profondo, indosso il camice bianco e vado a scoprire la vita.

 

Matteo Donati

 

Nessun commento: