Vi ricordate quando anche voi avevate tredici
anni come me? Eravate felici vero? Con la vostra famiglia, i vostri giochi, gli
amici del cuore, le gite al mare e tutto quanto? Bene, io queste cose non ce le
ho più e soprattutto me le hanno strappate senza che potessi difendermi.
All’improvviso. Sfido chiunque a non arrabbiarsi. Adesso non posso più scendere
al parchetto a giocare a pallone con gli amici, non posso più fare i giri in
bicicletta fino al monumento dell’aeroplano, non posso più giocare alla Play,
insomma, non posso più fare un sacco di cose. Okkei ammetto che ogni tanto ne
combino una delle mie, ma non sono mica un assassino!
A scuola dicono che sono iperattivo. Allora
sono andato dalla professoressa di italiano e le ho chiesto che cosa volesse
dire quella parola lì e lei me lo ha spiegato con le rughe che si aprivano
sulla fronte: significa che sembri tarantolato, non riesci a stare fermo un
secondo e che disturbi in continuazione le insegnanti, i compagni e bla bla
bla. Così ha detto. Allora l’ho mandata a quel paese a farsi un giro e ho
pensato che la scuola fa schifo perché tutti credono che io abbia quella
malattia. Quindi avrei fatto meglio a restare a casa a fare cose che mi
piacciono invece di annoiarmi cinque ore al giorno. Anche perché ogni volta mi
prendono di mira e dicono che sono la rovina della classe. Che non faccio mai i
compiti, che parlo troppo e alla fine mi mandano dal Preside che mi fa la
sviolinata e dice che convoca i miei genitori, ma tanto so già che loro da
Preside non ci vanno perché non gliene importa niente di me, ecco. Questa è la
verità. Non fanno mai nulla per me, pensano solo ai fatti loro o a litigare.
Allora io scappo dalla scuola, mi nascondo e loro sono costretti a venirmi a
cercare finché non mi trovano o fino a quando non mi faccio trovare, tié. Sarei
dovuto scappare lontano in un posto dove nessuno mi avrebbe potuto trovare,
tipo in Alaska, ma forse avrei avuto paura di perdermi, di morire dal freddo o
sbranato dai cani randagi.
Ho smesso anche di andare a calcio perché
siccome sono un po’ grassottello l’allenatore non mi faceva giocare quasi
mai (al massimo in porta) e i miei
compagni mi prendevano pure in giro. Mi chiamavano Ciccio. Allora io li menavo
e una volta per vendicarmi ho fatto un casino: ho tappato le docce e ho
allagato tutti gli spogliatoi, così imparavano la lezione. Ecco, diciamo che
non sono stato io a decidere di smettere, ma mi hanno proprio espulso dalla
società. Morale della favola: in qualunque posto io andassi nessuno mi voleva.
Ero sempre la pecora nera. E’ per questo che preferivo stare la maggior parte
del tempo per strada, così almeno nessuno mi rompeva le scatole. Potevo
scorrazzare nel mio quartiere in cerca di avventure.
Per fortuna poco tempo fa ho vissuto uno dei
giorni più importanti della mia vita e lo voglio raccontare altrimenti sembra
che la mia vita faccia solo schifo, invece no: la notte di Pasqua io e mia
sorella Michela abbiamo ricevuto il Battesimo grazie a don Claudio che ci ha
versato l’acqua in testa. Il nostro catechista ci ha detto che siamo stati
molto fortunati perché di solito nessuno si ricorda il giorno del proprio
Battesimo, mentre noi si. E’ stato davvero un giorno speciale e infatti non lo
scorderò mai. Ci siamo messi il vestito bianco e abbiamo fatto anche la
Comunione per la prima volta e le foto sull’altare. In quel momento ero proprio
felicissimo, però adesso ho una domanda: se siamo diventati figli di Dio,
perché ha permesso tutto questo e mi ha abbandonato? Perché non mi è venuto ad aiutare
e ha lasciato che quei signori mi portassero via? Forse ce l’ha con me? Qual’è
la differenza tra me e gli altri bambini del mondo? Se Dio fosse così buono
come dice il prete, dovrebbe fare qualcosa per aiutarmi. Però forse è già
impegnato a dare una mano ai bambini che vivono in Siria, dato che c’è la
guerra; o in Africa dove hanno le capanne e tantissima povertà o in India.
Comunque se Dio c’è e vede tutto, io vorrei solo dirgli di non dimenticarsi di
me. Ti prego, Dio, aiutami. Sono diventato tuo figlio e se mi lasci anche Tu
per me è la fine. Sono spacciato. Tu lo sai quello che ho passato, perché Tu
sai tutto.
State bene a sentire anche voi: prima i miei
genitori si sono separati perché non andavano d’accordo, poi ci siamo
trasferiti in una città lontana, poi mio padre è sparito e non si è fatto più
sentire e non ha chiamato neanche per farmi gli auguri di compleanno o dirmi
ciao come stai? Così sono diventato io l’uomo di casa, ma nel giro di poco
tempo la mamma ha trovato il suo nuovo fidanzato e siamo andati a vivere a casa
sua; purtroppo là c’erano già altri due bambini e non li volevo perché mi
stavano antipatici. E via... altri litigi, piatti che volavano, urla, parolacce
e bestemmie. Mi hanno anche bocciato due volte alla scuola media, ma non m’importa
perché a me studiare non piace proprio. E’ noioso e inutile. Mia mamma per
mantenerci doveva lavorare e alla fine ci ha lasciati con la nonna. Diceva che
si sarebbe trattato solo di pochi giorni, al massimo alcune settimane. Alla
fine sono passati mesi e mi sono abituato. Anche se ho iniziato a capire che
pure mamma ci stava abbandonando, almeno dalla mia nonna ero felice. Avevo
trovato la mia nuova casa. Stavo bene. Allora mi chiedo perché mi hanno portato
via? Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?
Da alcuni giorni vivo in un posto, ma non so
nemmeno come si chiama. Penso che sia al sud o al centro-sud dell’Italia. Ci
sono altri dieci bambini che sono stati strappati dalla loro casa più o meno
come me e degli educatori che vivono insieme a noi. Personalmente questo posto
mi fa proprio schifo. Da zero a dieci, il mio voto è zero. Bocciato! Perché
vogliono che io sia felice a tutti i costi, ma non capiscono che non lo sarò
mai finché non tornerò a casa mia. Questa non è una casa vera, è come una
prigione, mancano solo le sbarre. La odio. E odio tutte le persone che ci sono
dentro, ma soprattutto odio quei signori antipatici che sono venuti a
prendermi. Forse loro non ce li hanno dei bambini e non possono capire quanto
male mi hanno fatto. Se dovessi disegnare la rabbia che ho dentro dovrei
dipingere un vulcano tipo il Vesuvio di Pompei! Pioggia di lava e fumo nero. Se
avessi una ruspa spaccherei tutti i muri.
Da quando mi sono trasferito qua durante il
giorno non parlo mai e mangio pochissimo. Vorrei fare lo sciopero della fame,
ma poi la mia pancia brontola e non va bene. Diciamo che lo sciopero della fame
non è il mio forte. Devo usare delle altre strategie. Per esempio quando gli
educatori mi fanno delle domande io non rispondo per protesta. Che gliene frega
a loro della mia vita? Oppure nascondo le scarpe degli altri o rubo le
merendine dalla dispensa senza farmi vedere. Fortunatamente la mia nonna mi
chiama tutti i mercoledì tra le 16 e le 18. Io piango e urlo ogni volta e non
mi stancherò mai di farlo perché voglio che qualcuno mi venga a prendere e mi
porti via da qui. Che dite, se chiamassi la Polizia? I Carabinieri? I Pompieri?
A volte penso che vorrei prendere una bomba. Per far saltare in aria questo
posto. Buuuum. Poi cercherei un treno velocissimo per tornare dalla nonna. Lei
è una delle pochissime persone che mi vogliono bene veramente e non mi lascerà
mai, per nessuna ragione al mondo. Al suo fianco mi sento al sicuro, anche se
non è riuscita a difendermi da quegli stronzi che mi hanno portato via. Però si
vedeva che era molto arrabbiata con loro. Che se avesse potuto li avrebbe
cacciati via.
Quando ero più piccolo e la mamma spariva, per
alcuni giorni io andavo a casa sua; mi agitavo e correvo per tutta la casa
facendo un gran chiasso, spaccando cose, ma poi lei mi calmava promettendomi
che mi avrebbe raccontato le storie. Mi accarezzava la testa e mi rimboccava le
coperte strette. Solo così riuscivo ad addormentarmi e a fare finta che i miei
genitori non esistessero più. La mia nonna è la numero uno.
Così ho deciso che quando sarò grande mi
troverò un lavoro, tipo l’informatico o il calciatore perché mi piacciono i
computer e adoro giocare a calcio, anche se dovrei allenarmi molto e dimagrire.
Metterò da parte un po’ di soldi e comprerò una casa nuova. Però la voglio
grande. Dovrà essere bellissima, gialla, non dico come quella di Cristiano
Ronaldo, ma quasi. L’importante è che sia tanto posto per me, per mia sorella,
per la mia nonna e magari per qualche altro bambino che è senza una famiglia e
non può dire “che bello, torno a casa”. Dovrà avere tante porte e tante
finestre perché così mi sentirò libero e i miei amici potranno venire a
trovarmi quando vogliono. Poi andremo al campetto a giocare a calcio o a
comprarci il gelato e nessuno ci dirà che siamo cattivi o che disturbiamo il
quartiere, perché saremo felici. Di sicuro se un giorno mi sposerò e avrò dei
figli starò un sacco di tempo insieme a loro: li farò giocare con il pallone o
con le bambole, se saranno femmine (però preferirei maschi); li porterò al
parco o al cinema e gli farò capire che gli voglio bene. Forse ne avrò due,
oppure tre.
Ma queste sono solo delle idee che ho inventato
io. Non sono così sicuro di riuscire a realizzarle. Per il momento la realtà è
un’altra: mi hanno portato via tutto e sono solo. Terribilmente solo.
La mia è una storia abbastanza triste, vero?
Sembra quasi inventata, invece no. E’ super vera. Non se l’è inventata proprio
nessuno. Né io né questo signore che scrive e che mi ha prestato la voce per
raccontarvela. E’ tutto vero. Se non credete a me chiedetelo a lui. Lui mi
conosce, si ricorda quanto ero felice la notte di Pasqua quando ho ricevuto il
Battesimo. Oppure domandatelo a mia
nonna che mi vuole bene con tutto il suo cuore. A mia sorella che sa
perfettamente quanto le manco. A don Claudio. Alla mia maestra di scienze che
mi faceva fare gli esperimenti. Loro sanno che io non sono cattivo e che vorrei
solo essere felice.
Loro lo sanno che non ho più la mia casa, ma
che non è colpa mia.
Qualcuno di voi mi sa dire quando verranno a
prendermi?
Matteo Donati
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