venerdì 28 gennaio 2022

LONTANO DA CASA - Tra sogno e realtà (Capitolo 2)

Ho una brutta notizia per me: due giorni fa mi hanno portato via da casa mia e dicono che non ci posso tornare più fino a quando non si sa. Questo di solito capita ai cani randagi. Poverini. O a quei signori con la barba lunga che vivono per strada, che poi se ne vanno in giro con la bicicletta piena di buste vuote chiedendo l’elemosina ai supermercati. E parlano da soli con il vento o cantano le canzoni di una volta. A loro può capitare, ma non doveva succedere a uno come me. Io non sono mica un barbone né, tanto meno, un cane randagio. Quando la nonna mi ha chiamato al telefono io gliel’ho detto chiaro e tondo come la pensavo: “si può sapere che cosa ho fatto di male? Perché la mamma non mi viene a prendere? Voglio la mia casa indietro! Non è giustoooo!”...
 Dovete credermi, in quel momento ero proprio disperato. Un po’ mi vergogno a dirlo, ma piangevo. Avevo tutta la faccia rossa e le vene del collo gonfie. Volevo che la nonna capisse quanto soffrivo, con il cuore che mi batteva fortissimo e la gola che mi bruciava. E forse avrei persino preferito morire pur di non restare in quel posto. Volevo sparire in un buco nero, di quelli che sono nello spazio. Lontanissimi e pieni di buio. E ho urlato anche altre cose brutte, sbattendo i pugni sui muri e sulle porte, ma qui è meglio non scriverle. Sono una bella montagna di parolacce, quindi le tengo per me. Magari qualcuno di voi pensa che io stia esagerando, ma cercate  di mettervi nei miei panni. E forse cambierete idea. Provate per un attimo a pensare se vi avessero portato via dalla vostra vita di tutti i giorni per andare in un posto sconosciuto in mezzo a un branco di persone mai viste prima. Non potete ancora capire… o forse non lo capirete mai perché non ve ne frega niente di me che nemmeno mi conoscete.

Vi ricordate quando anche voi avevate tredici anni come me? Eravate felici vero? Con la vostra famiglia, i vostri giochi, gli amici del cuore, le gite al mare e tutto quanto? Bene, io queste cose non ce le ho più e soprattutto me le hanno strappate senza che potessi difendermi. All’improvviso. Sfido chiunque a non arrabbiarsi. Adesso non posso più scendere al parchetto a giocare a pallone con gli amici, non posso più fare i giri in bicicletta fino al monumento dell’aeroplano, non posso più giocare alla Play, insomma, non posso più fare un sacco di cose. Okkei ammetto che ogni tanto ne combino una delle mie, ma non sono mica un assassino!

A scuola dicono che sono iperattivo. Allora sono andato dalla professoressa di italiano e le ho chiesto che cosa volesse dire quella parola lì e lei me lo ha spiegato con le rughe che si aprivano sulla fronte: significa che sembri tarantolato, non riesci a stare fermo un secondo e che disturbi in continuazione le insegnanti, i compagni e bla bla bla. Così ha detto. Allora l’ho mandata a quel paese a farsi un giro e ho pensato che la scuola fa schifo perché tutti credono che io abbia quella malattia. Quindi avrei fatto meglio a restare a casa a fare cose che mi piacciono invece di annoiarmi cinque ore al giorno. Anche perché ogni volta mi prendono di mira e dicono che sono la rovina della classe. Che non faccio mai i compiti, che parlo troppo e alla fine mi mandano dal Preside che mi fa la sviolinata e dice che convoca i miei genitori, ma tanto so già che loro da Preside non ci vanno perché non gliene importa niente di me, ecco. Questa è la verità. Non fanno mai nulla per me, pensano solo ai fatti loro o a litigare. Allora io scappo dalla scuola, mi nascondo e loro sono costretti a venirmi a cercare finché non mi trovano o fino a quando non mi faccio trovare, tié. Sarei dovuto scappare lontano in un posto dove nessuno mi avrebbe potuto trovare, tipo in Alaska, ma forse avrei avuto paura di perdermi, di morire dal freddo o sbranato dai cani randagi.

Ho smesso anche di andare a calcio perché siccome sono un po’ grassottello l’allenatore non mi faceva giocare quasi mai  (al massimo in porta) e i miei compagni mi prendevano pure in giro. Mi chiamavano Ciccio. Allora io li menavo e una volta per vendicarmi ho fatto un casino: ho tappato le docce e ho allagato tutti gli spogliatoi, così imparavano la lezione. Ecco, diciamo che non sono stato io a decidere di smettere, ma mi hanno proprio espulso dalla società. Morale della favola: in qualunque posto io andassi nessuno mi voleva. Ero sempre la pecora nera. E’ per questo che preferivo stare la maggior parte del tempo per strada, così almeno nessuno mi rompeva le scatole. Potevo scorrazzare nel mio quartiere in cerca di avventure.

Per fortuna poco tempo fa ho vissuto uno dei giorni più importanti della mia vita e lo voglio raccontare altrimenti sembra che la mia vita faccia solo schifo, invece no: la notte di Pasqua io e mia sorella Michela abbiamo ricevuto il Battesimo grazie a don Claudio che ci ha versato l’acqua in testa. Il nostro catechista ci ha detto che siamo stati molto fortunati perché di solito nessuno si ricorda il giorno del proprio Battesimo, mentre noi si. E’ stato davvero un giorno speciale e infatti non lo scorderò mai. Ci siamo messi il vestito bianco e abbiamo fatto anche la Comunione per la prima volta e le foto sull’altare. In quel momento ero proprio felicissimo, però adesso ho una domanda: se siamo diventati figli di Dio, perché ha permesso tutto questo e mi ha abbandonato? Perché non mi è venuto ad aiutare e ha lasciato che quei signori mi portassero via? Forse ce l’ha con me? Qual’è la differenza tra me e gli altri bambini del mondo? Se Dio fosse così buono come dice il prete, dovrebbe fare qualcosa per aiutarmi. Però forse è già impegnato a dare una mano ai bambini che vivono in Siria, dato che c’è la guerra; o in Africa dove hanno le capanne e tantissima povertà o in India. Comunque se Dio c’è e vede tutto, io vorrei solo dirgli di non dimenticarsi di me. Ti prego, Dio, aiutami. Sono diventato tuo figlio e se mi lasci anche Tu per me è la fine. Sono spacciato. Tu lo sai quello che ho passato, perché Tu sai tutto.

State bene a sentire anche voi: prima i miei genitori si sono separati perché non andavano d’accordo, poi ci siamo trasferiti in una città lontana, poi mio padre è sparito e non si è fatto più sentire e non ha chiamato neanche per farmi gli auguri di compleanno o dirmi ciao come stai? Così sono diventato io l’uomo di casa, ma nel giro di poco tempo la mamma ha trovato il suo nuovo fidanzato e siamo andati a vivere a casa sua; purtroppo là c’erano già altri due bambini e non li volevo perché mi stavano antipatici. E via... altri litigi, piatti che volavano, urla, parolacce e bestemmie. Mi hanno anche bocciato due volte alla scuola media, ma non m’importa perché a me studiare non piace proprio. E’ noioso e inutile. Mia mamma per mantenerci doveva lavorare e alla fine ci ha lasciati con la nonna. Diceva che si sarebbe trattato solo di pochi giorni, al massimo alcune settimane. Alla fine sono passati mesi e mi sono abituato. Anche se ho iniziato a capire che pure mamma ci stava abbandonando, almeno dalla mia nonna ero felice. Avevo trovato la mia nuova casa. Stavo bene. Allora mi chiedo perché mi hanno portato via? Che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?

Da alcuni giorni vivo in un posto, ma non so nemmeno come si chiama. Penso che sia al sud o al centro-sud dell’Italia. Ci sono altri dieci bambini che sono stati strappati dalla loro casa più o meno come me e degli educatori che vivono insieme a noi. Personalmente questo posto mi fa proprio schifo. Da zero a dieci, il mio voto è zero. Bocciato! Perché vogliono che io sia felice a tutti i costi, ma non capiscono che non lo sarò mai finché non tornerò a casa mia. Questa non è una casa vera, è come una prigione, mancano solo le sbarre. La odio. E odio tutte le persone che ci sono dentro, ma soprattutto odio quei signori antipatici che sono venuti a prendermi. Forse loro non ce li hanno dei bambini e non possono capire quanto male mi hanno fatto. Se dovessi disegnare la rabbia che ho dentro dovrei dipingere un vulcano tipo il Vesuvio di Pompei! Pioggia di lava e fumo nero. Se avessi una ruspa spaccherei tutti i muri.

Da quando mi sono trasferito qua durante il giorno non parlo mai e mangio pochissimo. Vorrei fare lo sciopero della fame, ma poi la mia pancia brontola e non va bene. Diciamo che lo sciopero della fame non è il mio forte. Devo usare delle altre strategie. Per esempio quando gli educatori mi fanno delle domande io non rispondo per protesta. Che gliene frega a loro della mia vita? Oppure nascondo le scarpe degli altri o rubo le merendine dalla dispensa senza farmi vedere. Fortunatamente la mia nonna mi chiama tutti i mercoledì tra le 16 e le 18. Io piango e urlo ogni volta e non mi stancherò mai di farlo perché voglio che qualcuno mi venga a prendere e mi porti via da qui. Che dite, se chiamassi la Polizia? I Carabinieri? I Pompieri? A volte penso che vorrei prendere una bomba. Per far saltare in aria questo posto. Buuuum. Poi cercherei un treno velocissimo per tornare dalla nonna. Lei è una delle pochissime persone che mi vogliono bene veramente e non mi lascerà mai, per nessuna ragione al mondo. Al suo fianco mi sento al sicuro, anche se non è riuscita a difendermi da quegli stronzi che mi hanno portato via. Però si vedeva che era molto arrabbiata con loro. Che se avesse potuto li avrebbe cacciati via.

Quando ero più piccolo e la mamma spariva, per alcuni giorni io andavo a casa sua; mi agitavo e correvo per tutta la casa facendo un gran chiasso, spaccando cose, ma poi lei mi calmava promettendomi che mi avrebbe raccontato le storie. Mi accarezzava la testa e mi rimboccava le coperte strette. Solo così riuscivo ad addormentarmi e a fare finta che i miei genitori non esistessero più. La mia nonna è la numero uno.

Così ho deciso che quando sarò grande mi troverò un lavoro, tipo l’informatico o il calciatore perché mi piacciono i computer e adoro giocare a calcio, anche se dovrei allenarmi molto e dimagrire. Metterò da parte un po’ di soldi e comprerò una casa nuova. Però la voglio grande. Dovrà essere bellissima, gialla, non dico come quella di Cristiano Ronaldo, ma quasi. L’importante è che sia tanto posto per me, per mia sorella, per la mia nonna e magari per qualche altro bambino che è senza una famiglia e non può dire “che bello, torno a casa”. Dovrà avere tante porte e tante finestre perché così mi sentirò libero e i miei amici potranno venire a trovarmi quando vogliono. Poi andremo al campetto a giocare a calcio o a comprarci il gelato e nessuno ci dirà che siamo cattivi o che disturbiamo il quartiere, perché saremo felici. Di sicuro se un giorno mi sposerò e avrò dei figli starò un sacco di tempo insieme a loro: li farò giocare con il pallone o con le bambole, se saranno femmine (però preferirei maschi); li porterò al parco o al cinema e gli farò capire che gli voglio bene. Forse ne avrò due, oppure tre.

Ma queste sono solo delle idee che ho inventato io. Non sono così sicuro di riuscire a realizzarle. Per il momento la realtà è un’altra: mi hanno portato via tutto e sono solo. Terribilmente solo.

La mia è una storia abbastanza triste, vero? Sembra quasi inventata, invece no. E’ super vera. Non se l’è inventata proprio nessuno. Né io né questo signore che scrive e che mi ha prestato la voce per raccontarvela. E’ tutto vero. Se non credete a me chiedetelo a lui. Lui mi conosce, si ricorda quanto ero felice la notte di Pasqua quando ho ricevuto il Battesimo.  Oppure domandatelo a mia nonna che mi vuole bene con tutto il suo cuore. A mia sorella che sa perfettamente quanto le manco. A don Claudio. Alla mia maestra di scienze che mi faceva fare gli esperimenti. Loro sanno che io non sono cattivo e che vorrei solo essere felice.

Loro lo sanno che non ho più la mia casa, ma che non è colpa mia.

Qualcuno di voi mi sa dire quando verranno a prendermi?


Matteo Donati

 

 

 

Nessun commento: