Centri
di ascolto travolti dalle richieste d’aiuto per acquistare i beni
essenziali. È successo in Italia nel 2013 e l’emergenza è ancora in
corso. Troppe famiglie di italiani e stranieri non riescono più a
comprare il cibo, a pagare spese mediche, bollette e spese scolastiche e
devono rivolgersi alla parrocchia in mancanza di validi strumenti
pubblici di lotta alla povertà. Così 165 Caritas diocesane, due su tre,
hanno chiesto e ottenuto aiuto alla sede nazionale perché a metà anno
avevano finito i fondi. Un ennesimo allarme sulla spirale di povertà
senza precedenti dagli anni ’80 che sta travolgendo il Belpaese e che ha
portato un numero record di nuovi poveri a bussare in silenzio alla
porta dell’unica struttura rimasta, la parrocchia...
Allarme
confermato dalla Caritas italiana, che l’anno scorso ha rimborsato una
percentuale consistente delle spese per i beni primari - al resto hanno
provveduto le diocesi - e che si dice «molto preoccupata» anche per il
2014. Intanto ha chiesto al governo di sbloccare prima dell’estate i
fondi Agea utilizzabili per l’acquisto dei generi alimentari, che il
passaggio di gestione dal ministero delle Politiche agricole a quello
del Lavoro ha paralizzato almeno fino all’autunno. In Francia - altra
cultura amministrativa - il passaggio è stato previsto per tempo e i
fondi saranno disponibili a maggio. Fino a settembre la Caritas italiana
anticiperà i fondi e attende le nuove domande.«Siamo fortemente
preoccupati – spiega il vicedirettore Francesco Marsico – perché al
quinto anno di crisi la mancanza di risorse per affrontare le necessità
quotidiane affligge famiglie mai viste prima e che hanno finito i
risparmi. Quando ci sono arrivate le prime richieste di aiuto dalle
Caritas diocesane, abbiamo elaborato un indice sul disagio e la
sofferenza territoriale. Abbiamo chiesto chi avesse problemi, ci sono
arrivate richieste dalla maggior parte delle Caritas diocesane. Quasi
tutte rientravano nei parametri per il rimborso».Tra le voci per
cui le Caritas hanno impiegato i fondi, prevale quella dei contributi
al reddito, che assorbe il 40% dell’ammontare complessivo, seguita
dall’acquisto di beni di prima necessità (32%). «Significa – prosegue
Marsico – che più del 70% delle spese sostenute dalle Caritas diocesane
si riferisce ad erogazioni dirette ai beneficiari per il pagamento di
utenze, spese mediche, spese scolastiche, acquisto di generi alimentari,
prodotti per l’igiene, rate arretrate, ma anche interventi in
situazioni di insolvenza di cospicua entità». Sono queste le situazioni
drammatiche, diffuse soprattutto nel Mezzogiorno, e correlate alla
crisi, dovute al moltiplicarsi di tracolli economico-finanziari di
piccole imprese, artigiani ed esercenti. Dal Sud proviene inoltre più
del 40% delle richieste di rimborso. Ma c’è o no un rischio fame
in Italia? «La nostra filosofia – conclude il vicedirettore della
Caritas – è provvedere agli alimenti perché con i soldi risparmiati si
provveda alle altre spese. Ma ci chiedono aiuto persone che non hanno
diritto alla social card e che non hanno altre risorse per tirare
avanti». È l’ultima dimostrazione di cosa produce in Italia la mancanza
di una politica di contrasto alla povertà.Paolo Lambruschi, Avvenire 14/4/2014
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