Squilla il telefono. Rispondo. Si presenta un medico
del Centro d’Igiene Mentale. Mi riferisce che hanno ricoverato Jessica
d’urgenza. La situazione è molto grave, c’è mancato poco che morisse. Da una
settimana era rinchiusa nella sua roulotte senza mangiare. Solo Tavernello in
cartone e fiumi di antidepressivi. Risultato: intossicazione e delirio. Per
fortuna una volontaria è andata a farle visita, si è accorta della situazione e
ha chiamato un’ambulanza. Non appena apprendo la notizia salgo subito in
macchina e la vado a trovare. So per certo che non ha parenti né amici in grado
di starle vicina in un momento così delicato...
...Jessica vive sulla strada da molti anni ed è proprio
lungo la strada che ci siamo conosciuti.
La vidi fuori dall’ospedale di Basùra, stava
raccogliendo mozziconi di sigaretta da terra. Fumava gli scarti di tabacco
abbandonati dalla gente che passava di lì. Ne aveva raccolto un pacchetto
intero. Mi venne incontro con un certo timore, involontariamente inclinò la
testa da una parte e mi chiese alcuni spiccioli per comprarsi dieci sigarette
vere. Pensai che sotto il volto sporco e sciupato dall’alcool doveva
nascondersi una ragazza bellissima. Mi tuffai nei suoi occhi celesti che
chiedevano aiuto e vidi un mare di solitudine e sofferenza. Innumerevoli domande mi sommersero come onde giganti. Mi chiesi
perché la vita a volte sembra valere così poco. Perché. Perchè non hai trovato
una via d’uscita, Jessica? Cosa ti ha gettato laggiù nel baratro? Jessica, chi
sei davvero?
Non ero mai entrato in un Centro d’Igiene Mentale, me
lo immaginavo diverso, cioè me lo figuravo
strano, con corridoi lunghissimi e bianchi, letti enormi e arrugginiti,
infermieri dall’aspetto inquietante. Invece è perfettamente identico a tutti gli
altri reparti ospedalieri, con l’unica differenza che per uscire bisogna sempre
chiedere a un responsabile che gentilmente apra la porta sigillata a chiave.
Mi indicano la stanza di Jessica, ma mentre cammino il
mio occhio curioso non può fare a meno di ficcarsi dentro le stanze e ne
rimango alquanto impressionato: vedo un signore legato al letto che si agita
gridando cose incomprensibili, una donna che si dondola su una sedia e ride a
squarciagola, una ragazza di colore che parla da sola fissando la parete che ha
di fronte. Poi entro nella stanza di Jessica. Mi riconosce dopo un paio di
secondi. E’ ancora un po’ frastornata anche se dice di sentirsi meglio. Mi
saluta con dolcezza abbracciandomi e baciandomi sulle guance. E’ in vestaglia,
ha la faccia stanca e gonfia. Mi fa tenerezza per quanto è indifesa. Più la
guardo e più mi tuffo nei suoi occhi celesti che chiedono aiuto e la rivedo
quando ancora aveva diciannove anni …
… è una ragazza come tante che dopo aver ottenuto il
diploma di maturità comincia a lavorare in una fabbrica di tessuti. Pensa al
suo futuro. Vuole rendersi indipendente dalla sua famiglia. Ha dei sogni che
desidera realizzare. Durante l’estate lavora anche di sera come barista. Per
lei è faticoso reggere il ritmo, ma la buona volontà non le manca e non si
perde d’animo. Una sera al bar si presenta Lorenzo, un ragazzo molto carino che
la colpisce alla prima occhiata. Iniziano a frequentarsi. Lui è simpatico e la
sua compagnia la fa sentire bene. S’innamorano, decidono di mettersi insieme e
dopo un anno vanno a convivere. E’ un passo molto serio: con Lorenzo si sente
pronta ad aprire un capitolo importante della sua vita. Non passa molto tempo e
Jessica si rende conto che il suo ragazzo le nasconde qualcosa: ha spesso degli
atteggiamenti strani che non riesce a spiegarsi. A volte è lunatico, si
arrabbia per nulla e a tratti è pure violento. Lorenzo fuma l’eroina. Per
Jessica, che è una ragazza semplice e un po’ ingenua si tratta di un mondo
sconosciuto. Lei non è solita bere
alcolici, non fuma nemmeno sigarette. Un giorno Lorenzo la invita a provare,
lei si lascia convincere e accetta. La prima volta ne rimane disgustata, ma
purtroppo la storia non finisce lì. L’eroina è come un serpente che ti addenta,
poi ti avvolge piano piano fino a soffocarti. Anche lei cade nella trappola e
senza nemmeno rendersene conto arriva a non poterne fare a meno. Qualcosa
dentro di lei cambia radicalmente e quello che all’inizio era disgusto si
trasforma in piacere, poi in esigenza, poi in dipendenza, assuefazione, rota…
tutto cambia perché al centro di ogni cosa c’è quella maledetta sostanza e il
fulcro della sua vita diventa come ottenere altra roba. L’effetto iniziale non
basta più, aumentano le dosi e passa alle iniezioni endovena. Così sperpera
tutti i suoi risparmi, infrange il suo rapporto col mondo e frantuma i suoi
sogni.
Un giorno però tutto finisce con qualcuno che bussa
alla porta. Jessica va ad aprire. E’ la polizia. Gli agenti entrano con
irruenza, cercano Lorenzo. Lo
trovano ancora dormiente in camera da letto e lei dalla cucina sente le sue
grida soffocate mentre i poliziotti prima di ammanettarlo e portarlo via lo
gonfiano di botte. Non lo vedrà mai più. La loro storia è finita per sempre.
Lui se ne starà in carcere per chissà quanto tempo. Lei è solo una vittima e il
giudice dopo una settimana di carcere la affiderà a una comunità di recupero
dove rimarrà per tre anni e si ripulirà completamente.
Ma una volta uscita le cose non vanno bene comunque.
Di nuovo incontra la persona sbagliata e i suoi vuoti sono riempiti da un altro
serpente letale: l’alcol. Dopo un po’ di tempo Jessica rimane incinta e quando
il suo nuovo ragazzo lo viene a sapere se ne va dalla sua vita senza lasciare
tracce o spiegazioni. Chiede aiuto ai suoi genitori, ma lo strappo che si è
creato è ormai troppo grande, così anche la sua famiglia non la vuole più e
l’abbandona al suo destino. Questa volta è davvero sola.
L’unica luce è Simone che nasce dopo nove mesi di
gravidanza. E’ bellissimo, così fragile, ma al tempo stesso pieno di energia e
vitalità. Purtroppo a causa dei problemi di alcolismo della mamma a cui si
aggiunge una forte depressione, i servizi sociali intervengono e quando il
bambino ha poco più di due anni viene strappato da sua madre e affidato a una
famiglia benestante, in grado di crescerlo in un contesto familiare normale e
protetto. Non lo vedrà più.
Adesso Jessica sta piangendo, esco dai suoi occhi
perché non c’è più spazio: sono troppo pieni di lacrime e di dolore. Mi dice
che fra poche settimane Simone compirà sedici anni. Poi aggiunge: “Ne mancano
soltanto due. E’ da quando me l’hanno portato via che aspetto. Non me l’hanno
mai fatto vedere. Non sai quanto soffro e quanto ho pianto. Nemmeno per
telefono l’ho potuto sentire. Neanche una volta… nemmeno la sua voce. Ancora
due anni poi sarà maggiorenne. Aspetto solo quel giorno, andrò a casa sua,
busserò alla porta e finalmente potrò guardare mio figlio, il mio bambino e gli
dirò tutto. Tutta la verità… che è stata colpa mia e che gli ho sempre voluto
bene. Il mio Simone”.
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