Era tutto pronto: lo schema della
giornata, i giochi, le attività. Mancavano solo i ragazzi che sarebbero
arrivati nel pomeriggio, verso le 15; così recitava il volantino di invito.
Nella mia testa, come spesso accade, ogni cosa era programmata. Insieme ad
alcuni educatori avevo sparso notizia che domenica in parrocchia sarebbe
accaduto qualcosa di nuovo e di diverso, con l’aggiunta del “non puoi mancare”
e del “divertimento assicurato”. Ingresso aperto a tutti. Venivo da un periodo
personale difficile che mi aveva messo in crisi e provato duramente, ma in quel
momento mi sentivo pronto a dare il massimo. Dentro di me girava una preghiera
che faceva più o meno così: eccomi, sono pronto a ributtarmi in mezzo ai
ragazzi, voglio far vivere loro delle esperienze indimenticabili. Mandami chi
vuoi Tu, chi ritieni abbia bisogno di aiuto. Chiunque, ma non loro...
Scattata l’ora fatidica si
presentarono alcuni ragazzini che accolsi prontamente, ma di lì a breve,
arrivarono proprio loro. Giunsero in branco, come i lupi. Accigliati, scaltri e
affamati. Letteralmente. Il classico gruppo di ragazzi che nessuno vuole perché
ingestibili: non si lasciano avvicinare, non stanno alle regole, non rispettano
gli altri e le cose degli altri. 15 paia di braccia pronte ad afferrare, 15
paia di occhi grandi e bramosi più delle bocche, ma soprattutto 15 paia di
scarpe veloci a scappare. Li conoscevo a distanza perché ogni tanto li vedevo
aggirarsi da quelle parti, per questo avrei preferito evitarli. Sapevo che
erano troppo rozzi per appartenere all’Azione Cattolica, inadeguati allo
scautismo e troppo border line anche
per i gruppi di aggregazione più alternativi. In una parola: detestabili. E non
sto esagerando. Si erano guadagnati la fama dei ragazzi di nessuno.
Il solo motivo per cui erano in
parrocchia era il campetto da calcio che si trova dietro la Chiesa. Il loro
territorio. Non avevano risposto a nessun invito e non erano impegnati in alcun
tipo di percorso spirituale. Si trovavano lì soltanto per giocare a pallone.
Facevo fatica a capire in quel
momento. A dirla tutta ero quasi infastidito. Lo schema che mi ero disegnato in
testa non aveva funzionato per niente. Così, dopo essermi ripreso dallo stordimento
iniziale alzai gli occhi al cielo e Gli dissi: “va bene, ho capito. Sia fatta
la tua volontà e non la mia”. Mi avvicinai ai ragazzi che nel frattempo avevano
tirato fuori il pallone e si erano impossessati del campo. “Ciao, mi chiamo
Matteo” dissi, “ve ne va di fare due tiri?”
Ancora non lo sapevo, ma stava
nascendo una delle avventure più belle e incredibili che mi fossero mai
capitate nella vita.
Mi venne incontro uno di loro,
aveva l’aria del capo-banda e si presentò: “piacere, io sono Maicol, senti ma…
tu non sei un po’ troppo vecchio per metterti a giocare con noi?”
Fu così che iniziò la partita.
Matteo
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