giovedì 17 gennaio 2019

LA PARTITA - capitolo 1/10 - Maicol


Era tutto pronto: lo schema della giornata, i giochi, le attività. Mancavano solo i ragazzi che sarebbero arrivati nel pomeriggio, verso le 15; così recitava il volantino di invito. Nella mia testa, come spesso accade, ogni cosa era programmata. Insieme ad alcuni educatori avevo sparso notizia che domenica in parrocchia sarebbe accaduto qualcosa di nuovo e di diverso, con l’aggiunta del “non puoi mancare” e del “divertimento assicurato”. Ingresso aperto a tutti. Venivo da un periodo personale difficile che mi aveva messo in crisi e provato duramente, ma in quel momento mi sentivo pronto a dare il massimo. Dentro di me girava una preghiera che faceva più o meno così: eccomi, sono pronto a ributtarmi in mezzo ai ragazzi, voglio far vivere loro delle esperienze indimenticabili. Mandami chi vuoi Tu, chi ritieni abbia bisogno di aiuto. Chiunque, ma non loro...




Scattata l’ora fatidica si presentarono alcuni ragazzini che accolsi prontamente, ma di lì a breve, arrivarono proprio loro. Giunsero in branco, come i lupi. Accigliati, scaltri e affamati. Letteralmente. Il classico gruppo di ragazzi che nessuno vuole perché ingestibili: non si lasciano avvicinare, non stanno alle regole, non rispettano gli altri e le cose degli altri. 15 paia di braccia pronte ad afferrare, 15 paia di occhi grandi e bramosi più delle bocche, ma soprattutto 15 paia di scarpe veloci a scappare. Li conoscevo a distanza perché ogni tanto li vedevo aggirarsi da quelle parti, per questo avrei preferito evitarli. Sapevo che erano troppo rozzi per appartenere all’Azione Cattolica, inadeguati allo scautismo e troppo border line anche per i gruppi di aggregazione più alternativi. In una parola: detestabili. E non sto esagerando. Si erano guadagnati la fama dei ragazzi di nessuno.
Il solo motivo per cui erano in parrocchia era il campetto da calcio che si trova dietro la Chiesa. Il loro territorio. Non avevano risposto a nessun invito e non erano impegnati in alcun tipo di percorso spirituale. Si trovavano lì soltanto per giocare a pallone.
Facevo fatica a capire in quel momento. A dirla tutta ero quasi infastidito. Lo schema che mi ero disegnato in testa non aveva funzionato per niente. Così, dopo essermi ripreso dallo stordimento iniziale alzai gli occhi al cielo e Gli dissi: “va bene, ho capito. Sia fatta la tua volontà e non la mia”. Mi avvicinai ai ragazzi che nel frattempo avevano tirato fuori il pallone e si erano impossessati del campo. “Ciao, mi chiamo Matteo” dissi, “ve ne va di fare due tiri?”
Ancora non lo sapevo, ma stava nascendo una delle avventure più belle e incredibili che mi fossero mai capitate nella vita.
Mi venne incontro uno di loro, aveva l’aria del capo-banda e si presentò: “piacere, io sono Maicol, senti ma… tu non sei un po’ troppo vecchio per metterti a giocare con noi?”
Fu così che iniziò la partita.

Matteo

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