lunedì 10 febbraio 2014

HOMELESSNESS



Il termine homelessness, non può essere definito fenomeno, ma più propriamente  processo, in quanto questa condizione di vita è il prodotto di una serie di eventi e fattori concatenati che portano la persona sulla strada. Esistono svariati termini con cui le persone in questione vengono definite: dai più volgari, e spesso dispregiativi, quali “barbone”, “vagabondo” e via dicendo, ai più moderni ed appropriati quali senza tetto e senza dimora...
..preferibile è però parlare di homeless, che significa senza casa. In effetti, in italiano manca la distinzione che c’è nella lingua inglese tra home ed house. Mentre la house rappresenta, infatti, la struttura architettonica della casa, l’edificio, il mattone, la home rappresenta lo spazio più famigliare, quello delle relazioni , di ciò che è personale: uno spazio per se stessi, dunque, dove è lecito sbottonarsi e vivere la propria intimità e quotidianità. Ecco! Ciò che manca a queste persone è proprio questo focolare, più che un mero tetto sotto cui abitare.

CLASSIFICAZIONE
Certamente il panorama dell’esclusione abitativa è molto variegato: nella definizione di homeless sono però racchiuse tutte quelle situazioni non solo di mancanza di alloggio propriamente detta, ma anche di alloggi insicuri e precari. Ad esempio, tra gli homeless, vi sono non solo le persone che dormono in strada, in parchi o spazi pubblici, ma anche quelle che vivono in rifugi improvvisati, roulotte, auto, case abbandonate ed ostelli d’accoglienza notturna. Anche chi ha un tetto, poi, può trovarsi sotto sfratto o essere vittima di maltrattamenti domestici o persino della prostituzione. Anche chi vive in alloggi insicuri o precari è, dunque, un homeless a tutti gli effetti.
Nel 2005 l’osservatorio europeo sulla Homelessness di FEANTSA ( Federazione Europea delle Organizzazione che lavorano con gli homeless ) ha sviluppato una classificazione del processo, attraverso una griglia di indicatori che fanno riferimento alla grave esclusione abitativa ; il nome di questa classificazione è ETHOS ( European Typology on Homelessness and housing exclusion ) ed è costituita da ben 13 categorie operative, che vi invito a conoscere inserendo Ethos di Feantsa su un qualunque motore di ricerca.

DATI STATISTICI
I dati rilevati da Istat in collaborazione con Fiopsd e Caritas tra fine novembre e fine dicembre 2011, parlano di oltre 47000 homeless in Italia. Per tale ricerca sono stati considerati i senza dimora che si sono rivolti ai servizi presenti nei comuni sopra i 100000 abitanti e 158 capoluoghi di provincia, sono esclusi tutti i senza dimora che non fanno uso dei servizi e quelli che vivono in comuni più piccoli. Il margine di errore può dunque portare il numero a oltre 51000.

FATTORI ED EVENTI SCATENANTI/PROFILI
La homelessness è una vera e propria emergenza sociale perché, di fatto, di homelessness si può morire! Sono numerose, infatti, le persone che presentano problemi di salute fisica e/o psichica.
Mi sono avvicinata a questa realtà nel 2002, dapprima in Spagna, poi in Irlanda e ultimamente anche in Inghilterra oltre che in Italia ed ho conosciuto personalmente molti homeless ed alcuni importanti servizi che si occupano di loro. Certamente ho incontrato persone con problemi psicologici e talvolta psichiatrici di diverso tipo. Talvolta questi problemi sono antecedenti la condizione di homeless, ed anzi concorrono a far sì che la persona si trovi poi, di fatto, senza casa. Più spesso, però, il punto di rottura che rappresenta la perdita dell’alloggio, del lavoro e delle relazioni sociali determina l’insorgenza di problemi di salute che altrimenti rimarrebbero latenti o persino inesistenti. Alcune delle persone che ho conosciuto hanno dipendenze patologiche da stupefacenti, alcool o da gioco d’azzardo; alcuni si ritrovano in strada dopo la dimissione da ospedali, comunità riabilitative o carceri, ma sempre più spesso mi trovo davanti a persone comuni, persone come noi, che magari hanno perso il lavoro durante la crisi economica di questi anni ed hanno lasciato la casa al coniuge ed ai figli perché separati. Persone che nel giro di poco si sono trovate ad essere senza fonte di reddito, con obblighi di mantenimento e senza più un alloggio. Persone giovani ( l’età media è di poco più che 40 anni ), sempre più giovani e sempre meno “stravaganti”. Lo stereotipo di clochard che abbiamo in mente, quale individuo con la barba lunga, il pancione, ribelle rispetto ai canoni sociali, è ormai desueto e le nuove figure in questione sono sempre più giovani, e tra loro anche donne ed immigrati.
Vi sono persone che provengono dal ceto medio, hanno un livello di studio medio o superiore ( soprattutto gli stranieri hanno un livello di studi più elevato degli italiani ) e che hanno lavorato e sanno lavorare.
Posseggono dunque buone capacità residue, e su queste è bene investire: non si può più pensare a piani di mero assistenzialismo, ma ridare una dignità a questi individui significa fornire loro percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. Con questo concluderei e lascerei la parola al dottor Marco Iazzolino, segretario nazionale di Fiopsd.
A cura della Dott.ssa Valentina Gori

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