venerdì 18 ottobre 2013

MANIFESTARE


Ieri mattina verso le 10 sono rimasto per qualche minuto intrappolato nel traffico del centro. Diverse strade erano bloccate. Nei pressi di Piazzale Lazzarini stava facendo il suo ingresso un folto gruppo di ragazzi manifestanti. Musica a tutto volume, grida, cori, megafoni. Clima acceso. Dovevo raggiungere  in fretta il carcere di Villa Fastiggi dove si festeggiava il primo anniversario della redazione giornalistica, che in collaborazione col settimanale “Il Nuovo Amico” ha dato vita a un piccolo inserto mensile dal titolo emblematico “Penna Libera Tutti”. Ma appena entrato nella Casa Circondariale, il clima era ben diverso da quello che avevo respirato in centro...

Poche ore prima si era tolto la vita un detenuto e nessuno dei redattori aveva voglia di fare festa. Dalle celle si sentiva molto bene l’eco della protesta. Cucchiai che sbattevano nelle inferiate, urli, sciopero della fame. I redattori avevano la faccia buia e hanno letto un breve comunicato che chiedeva comprensione e un minuto di silenzio. Ma non si sono sottratti al confronto. Hanno comunque accettato di dialogare con chi era sopraggiunto per sentire la loro voce. Era il loro modo di manifestare. Lo hanno fatto trattenendo a stento la commozione. Si doveva parlare di giornalismo off-line, ma è stato inevitabile sbattere contro la cruda realtà e  chiedersi che senso ha il carcere, a cosa è servito il gesto di Said se poi nessuno ascolta davvero? Quanto vale la vita? Beh, io vorrei testimoniare una cosa che non posso mettere a tacere: la delicatezza della loro protesta è stata un esempio di dignità. E’ bello che una così alta lezione di civiltà venga da chi vive rinchiuso dietro le sbarre a scontare la propria pena. Una lezione che vale soprattutto per noi che pieni della nostra libertà, camminiamo con leggerezza sui valori più profondi della vita.

 

 

3 commenti:

Matteo Donati ha detto...

“Ho versato una lacrima nell’oceano e smetterò di amarti quando la ritroveranno”. Queste sono le parole lasciate da Said, prima dell'estremo gesto.
Siamo oltre la poesia

Matteo Donati ha detto...

martedì prossimo sarò in carcere a Villa Fastiggi per presentare il libro ai detenuti...

Anonimo ha detto...


Lettere: che Said non sia morto invano... dopo il suicidio lettera dei compagni

Il Messaggero, 23 ottobre 2013


I detenuti di Pesaro hanno scritto una lettera dopo il suicidio del giovane marocchino avvenuto in carcere nei giorni scorsi. Lo chiamano "novello martire" che si "aggiunge all'infinita tragedia della situazione carceraria italiana". La lettera è firmata "i tuoi compagni". E va avanti così: "La popolazione dei detenuti, vive uno stato di ulteriore stress, incrementato dalle chiacchiere politiche sull'indulto si e indulto no.

II gioco delle parti crea un'esasperazione sempre maggiore da cui non si può sfuggire, la tensione cresce e l'aria si taglia con un coltello, ma ciò non significa che ci si debba rassegnare e considerare inevitabili certi fatti. La morte di un detenuto è sempre un lutto che ricade su tutto il sistema, inteso come società civile. Noi che viviamo questa realtà dall'interno, intendendo anche chi lavora o è volontario qui, sappiamo bene la disperazione che si cela dietro certi avvenimenti e ci uniamo al dolore della famiglia di Said. E il dolore non fa distinzioni, lui è uguale per tutti". I detenuti sottolineano che vogliono "dare senso a questa disgrazia senza strumentalizzazioni". E ancora: "Capiamo la rabbia e il senso di impotenza, ma non giustifichiamo alcun comportamento che non abbia come fine il miglioramento delle condizioni in cui siamo costretti a vivere. Perché se è vero che le carceri sono indecorose, è anche vero che noi dobbiamo avere un atteggiamento civile, avendo l'obbligo morale di dare il giusto senso a questo dramma e far si che non si ripeta. Crediamo di aver un numero sufficiente di cicatrici, tra anima e corpo, per affermare che con la violenza non si ottiene nulla e non si rispetta la memoria di un nostro compagno". C'è chi in questi giorni è entrato nel carcere. Il responsabile della Caritas, Matteo Donati racconta che si "festeggiava il primo anniversario della redazione giornalistica, che in collaborazione col Nuovo Amico ha dato vita Penna Libera Tutti. Ma appena entrato nella Casa Circondariale, il clima era ben diverso e nessuno dei redattori aveva voglia di fare festa. Dalle celle si sentiva molto bene l'eco della protesta. I redattori avevano la faccia buia e hanno letto un breve comunicato che chiedeva comprensione e un minuto di silenzio. Si doveva parlare di giornalismo off-line, ma è stato inevitabile sbattere contro la cruda realtà e chiedersi che senso ha il carcere, a cosa è servito il gesto di Said se poi nessuno ascolta davvero? La delicatezza della loro protesta è stata un esempio di dignità".