Il magazzino dei vestiti è uno dei
luoghi più frequentati di Basùra. Ne sanno qualcosa le persone che abitano da
quelle parti e che ogni volta che mi incontrano colgono l’occasione per
ricordarmi che è giunta l’ora di farla finita: dicono che bisogna spostare il
magazzino da un’altra parte perché chi lo frequenta trasforma tutta la zona in
un Far West. C’è una signora anziana molto a modo che sta proprio lì di fronte
e che spesso si fa portavoce delle lamentele del vicinato. Non è contraria al
fatto che vengano distribuiti indumenti ai bisognosi, ma lo è al fatto che
lascino montagne di immondizia, facciano i loro bisogni sui muri o tra le
macchine, tanto che certi odori entrano persino dentro gli appartamenti
attraverso le finestre; dice che è inaccettabile che ogni volta che piove tutti
si riversino sotto il suo ingresso che è riparato o che addirittura per quanto
sono numerosi invadano la strada stretta a senso unico, impedendo il normale
flusso delle auto. Di questo passo saranno costretti a fare un appello al Sindaco. Addirittura si rischia di svalutare
i prezzi degli immobili perché nessuno comprerebbe casa in un luogo così
degradato. Come dargli torto?
Un giorno passavo per caso davanti al
magazzino. Appena imboccato la strada mi ero immediatamente accorto che stava
succedendo qualcosa: davanti alla struttura c’era un sacco di gente, il che è
una cosa normale, ma erano tutti in fermento; in più c’era una pattuglia dei
vigili urbani. Ecco, ci risiamo – ho
pensato. Mi sono avvicinato per capire cosa stava succedendo, ma più avanzavo,
più avevo la sensazione di addentrarmi in un accampamento multietnico. C’erano
zingari dappertutto, donne africane che trasportavano sulla schiena i loro
piccoli avvolti in fasce colorate, rumeni con le scarpe lucide, moldavi,
albanesi, marocchini, tunisini, algerini, qualche italiano forse…e una gran
confusione. Ai lati della strada era pieno di sporcizia, cartacce, lattine di
birra, stracci, qualcuno ascoltava musica da una radio che gracchiava fastidiosamente.
Sono rimasto senza parole, era una situazione davvero surreale. Gli uomini e le
donne in divisa non sapevano cosa dire. Qualcuno aveva chiesto il loro
intervento perché ormai la strada era bloccata dalla folla e c’era un gran
chiasso. Tutti che lasciavano i loro rifiuti in giro senza aver cura di chi
abitava lì intorno. Nello sguardo dei vigili si leggeva un certo imbarazzo:
cosa dovevano fare? Farli stare tutti zitti? Allontanarli? Fare la voce grossa?
Per di più la loro presenza aveva ulteriormente irritato gli animi di alcuni
spocchiosi che non trovavano nulla di strano in quello che stavano facendo. Cosa abbiamo fatto di male? Cosa volete da
noi? – urlavano e si accusavano a vicenda di aver provocato tutto quel
casino. Le nigeriane davano la colpa ai Rom, alcune donne dell’est puntavano il
dito contro un gruppetto di barboni mezzi ubriachi, i nordafricani si dicevano
estranei a tutto. Alla fine, per far sì che la cosa non degenerasse, siamo
stati costretti a tener chiuso il magazzino. La parte più difficile è stata
spiegare a tutta quella gente che stava in fila in attesa di entrare che il
rispetto è una cosa importante e bisogna metterlo in pratica. I nostri locali
sono aperti a tutti, di qualsiasi parte del mondo, ma tutti devono stare alle regole.
Se queste non vengono rispettate non possiamo più garantire i servizi. Ci sono
voluti alcuni minuti, qualche insulto a me e alla polizia, ma piano piano la
gente si è allontanata raccogliendo le proprie cose da terra. Sulla via è
tornata la calma.
Purtroppo anche dentro al magazzino dei
vestiti si sono verificati alcuni episodi spiacevoli. I volontari che prestano
il loro servizio gratuito e distribuiscono abiti ai bisognosi sanno bene che
una delle armi più importanti da avere sempre addosso è la pazienza. C’è sempre
chi non si accontenta e vorrebbe avere tutto ciò che gli piace, ma se si vuole soddisfare
tutti bisogna mettere dei limiti e suddividere il materiale in modo tale che
nessuno torni a casa a mani vuote. Quando qualcuno si mostra prepotente e
arrogante è necessario mantenere la calma, far ragionare, ma a volte non basta.
Ricordo che una mattina mi chiamarono con urgenza perché una volontaria era
rimasta ferita in seguito a un’aggressione. Sono corso immediatamente. Il
Centro di Ascolto si trova a cento metri di distanza dal magazzino. Quando sono
arrivato lei era tutta spaventata, rossa in volto, le usciva del sangue da una
gamba. Alcuni volontari cercavano di calmarla. Tutto è accaduto velocemente: un
signore che lei stava servendo voleva a tutti i costi tre giubbotti; lei aveva
cercato di spiegare che non era l’unico ad averne bisogno e che doveva
accontentarsi di uno, ma il suo rifiuto non è stato accolto. Proprio per
niente. Ci sono delle pesanti cattedre di legno che i volontari utilizzano per
appoggiare le cose, quel signore ne ha presa una con le mani e dopo averla
sollevata gliel’ha gettata addosso. Poi ha afferrato la volontaria per il collo
insultandola e minacciandola. Le persone che si trovavano vicino sono
intervenute immediatamente e lui si è allontanato con un atteggiamento
incredibilmente freddo e fiero, lasciando cadere per terra tutte le cose che
aveva. Sono intervenuti i Carabinieri. Ovviamente l’aggressore è stato
rintracciato e denunciato. Oggi si trova in galera a scontare una lunga serie
di reati.
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