Quando sei senza casa. E senza residenza, quindi senza diritti. Come i
Comuni affrontano il problema dei senza dimora: nell'ottica di liberarsene,
invece di recuperarli. Da “Piazza grande”, giornale di strada di Bologna.
Antonio Mumolo è il presidente
dell’Associazione "Avvocato di Strada" (www.avvocatodistrada.it) e da anni si occupa
delle problematiche legali incontrate da chi una casa non ce l’ha. "Avvocato di strada" è un progetto nato
all’interno dell’associazione "Amici di Piazza Grande", la stessa che
pubblica questo giornale, che dal 2001 assiste gratuitamente tutti i senza
tetto che hanno problemi legali, e si batte per il riconoscimento di diritti
sanciti dalla Costituzione, ma che nel caso dei senza tetto vengono calpestati
quotidianamente. Una delle battaglie portate avanti con più incisività dagli
avvocati volontari è quella per il riconoscimento della residenza anagrafica.
Perché la residenza anagrafica è tanto importante per
i senza tetto?
"La residenza anagrafica è un requisito
fondamentale per tutti, non solo per i senza tetto, perché se non la si ha è
come se non si esistesse. La gente comune riflette poco su questo problema,
perché tutti hanno una casa, o un luogo dove fissare la propria residenza, ed è
difficile per i più capire che se la si perde si entra in una spirale da cui è
difficile uscire. Senza residenza, infatti, non si può lavorare, non si può
aprire una partita Iva, non si ha diritto all’assistenza del servizio sanitario
nazionale, fatta eccezione per le prestazioni di pronto soccorso, non si può
partecipare ad un bando per ottenere una casa, non si può votare".
Come si fa a perdere la residenza? E come fa una
persona che vive in strada a tornare a vivere una vita normale in queste
condizioni?
"Può accadere di perdere la residenza in varie
maniere. Se si esce dallo stato di famiglia, l’anagrafe cancella il tuo nome
dalle liste. Questo è uno dei casi più frequenti, perché sono moltissime le
persone che finiscono in strada in seguito a una separazione. Poi può capitare
quando si lascia una casa dove si era in affitto. Quando arrivano i nuovi
affittuari e viene fatta l’opportuna comunicazione, i vecchi inquilini vengono
cancellati dalle liste anagrafiche. Inoltre può capitare che un Comune faccia
un censimento. Se non risulti essere più nel luogo dove avevi la residenza,
automaticamente vieni cancellato dalle liste anagrafiche. La cosa grave è che
spesso le persone, che non possono essere avvertite perché non se ne conosce il
nuovo domicilio, non sanno nemmeno di aver perso la residenza, e quando lo
scoprono, magari dopo tanti anni, è sempre una brutta sorpresa".
Cosa si deve fare per ottenere una nuova residenza?
"Se si perde la residenza bisogna recarsi presso
l’ufficio anagrafe della città dove si vive e fornire un domicilio che verrà
verificato dai vigili urbani. La residenza anagrafica, per l’importanza
capitale che ha per la vita di ogni individuo, può essere concessa anche presso
una roulotte, o in una grotta, non fa differenza. Noi siamo riusciti a far
ottenere la residenza ad una persona che viveva in macchina, con moglie e
figlia minore. Senza la residenza, tra l’altro, la minore non avrebbe potuto
iscriversi a scuola".
Cosa succede nel caso delle persone che vivono in
strada, si spostano di continuo e non hanno nessun domicillo?
"In quel caso si può chiedere la residenza anche
in una via inesistente. Anche se è una cosa che sanno in pochi, la legge dice
che ogni città deve dotarsi di una via fittizia, dove poter fissare la
residenza a tutti quelli che vivono in città. A Bologna questa via si chiama
via Senzatetto, a Verona via dell’ospitalità. A Roma la via inesistente è
intitolata a Modesta Valenti, una donna senzatetto morta alla stazione Termini
perché non era stata soccorsa in quanto sporca e mal vestita. In alcune città,
come Foggia e Taranto, la via fittizia è stata inaugurata dopo l’apertura in
queste stesse città di uno sportello di ‘Avvocato di strada’ e su nostra
richiesta, e questo per noi è un motivo di grande orgoglio".
Nel 2001 Avvocato di strada ha fatto causa al Comune
di Bologna per far ottenere la residenza a una persona. Cos’era successo?
"Si era rivolta a noi una persona che viveva in
un dormitorio comunale e che aveva chiesto la residenza presso lo stesso
dormitorio, dove abitava da diversi anni. Il Comune sapeva bene che quella
persona era realmente presente in quel luogo, perché ogni dormitorio deve
comunicare al Comune i nominativi delle persone ospitate. Ciò nonostante, il
Comune si rifiutava di concedere la residenza richiesta. Abbiamo intentato una
causa d’urgenza ed il Comune ha dovuto concedere la residenza a quella
persona".
Dopo questa causa vinta, per i senzatetto è diventato
più facile ottenere la residenza a Bologna?
"Dovrei dire di sì, anche se nonostante quella
importante vittoria ancora oggi c’è chi negli uffici amministrativi interpreta
la norma nazionale in senso restrittivo e costringe i senza tetto a lunghe
attese. Proprio in questi ultimi mesi sono accaduti due episodi (due persone
che, pur dormendo in dormitori pubblici, hanno dovuto aspettare mesi prima di
vedersi riconoscere la residenza) che ci hanno spinto a prendere dei
provvedimenti. Come consigliere comunale, ho chiesto che vengano convocate due
commissioni apposite proprio per discutere il problema delle modalità di
concessione della residenza. Lo scopo è quello di fare in modo che chi vive in
strada non debba aspettare mesi per avere la carta d’identità con la via di
residenza, per avere un medico e per poter avere gli stessi diritti di chi ha
la casa".
Quali motivi possono spingere le istituzioni comunali
ad essere così restie nel concedere la residenza anagrafica?
"Probabilmente i Comuni temono che dalla
concessione di una residenza possano derivare oneri supplementari e imprevisti.
Questa, a mio parere, è un’analisi parziale e fondamentalmente sbagliata. Non
dare la residenza significa infatti alimentare un circuito vizioso, perché se a
una persona non viene concessa la residenza significa condannarla a rimanere
nelle maglie dell’assistenzialismo. Significa di fatto negarle il primo
lasciapassare verso un percorso di recupero.
In pratica un Comune che non dà la residenza a una
persona ha come unica speranza che questa persona a un certo punto vada a
‘disturbare’ in un’altra città. Ricorda da vicino quella che in ambito
ambientalista si chiama sindrome "Nimby", acronimo di ‘Not in my Back
Yard’, che vuoi dire ‘Non nel mio cortile’. Si riconosce come necessario, o
comunque possibile, l’oggetto del contendere, ma allo stesso tempo non lo si
vuole ospitare nel proprio territorio per via delle eventuali
controindicazioni. Le istituzioni, vorrebbero, giustamente, che tutte le
persone fossero autonome ed indipendenti, e che potessero realizzarsi come individui.
Ma la concessione della residenza anagrafica è il
primo passo verso questa strada, e non concederla, come può capire chiunque,
non è un modo di risolvere i problemi".
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