mercoledì 3 ottobre 2018

AMADOU, UN ITALIANO VERO

Risultati immagini per bandiera italiana disegno-Bigliettiiii, biglietti prego…disse il controllore salendo sull’autobus.
Amadou non aveva scampo, fosse stato sul treno avrebbe avuto qualche possibilità di cavarsela, ma sull’autobus niente vie di fuga. Non restava che aspettare. E sperare.
-Il biglietto! Sentì dire ancora una volta. Alzò la testa, due occhi annoiati e fermi lo stavano fissando interrogativi.
-Non ce l’ho. Rispose mestamente Amadou.
-Allora dobbiamo fare una bella multa, eh? Ma toglimi una curiosità: al Paese tuo si gira senza biglietto?
-Veramente questo è proprio il Paese mio. Io sono di Milano, come Mario Balotelli, quello che gioca a calcio. Disse sorridendo. 


La mano sinistra del controllore si spostò automaticamente sul taccuino dei verbali in doppia matrice azzurra e verde, ma se solo avesse avuto un attimo di pazienza e guardato bene dentro agli occhi e non si fosse fermato alla superficie, sicuramente avrebbe intravisto qualcosa: avrebbe letto la storia di Amadou, il primo italiano nero che parla un dialetto misto tra lombardo e romano. Avrebbe saputo che da piccolo aveva la madre casalinga e il padre che faceva l’assicuratore. Un lavoro prestigioso perché il suo papà, un uomo forte di nome Lamine, era una persona molto intelligente e aveva studiato. Al suo piccolo Amadou non faceva mancare nulla e desiderava per lui il meglio, proprio come mediamente accadeva a tutti i bambini italiani bianchi.
Un giorno la nonna di Amadou morì. Era molto anziana e viveva in Senegal. Per suo padre fu un grosso dispiacere e dopo aver a lungo parlato con la moglie decise che sarebbe partito da solo per assistere al funerale che si sarebbe svolto a Dakar. Il giorno della partenza Lamine guardò suo figlio di dieci anni negli occhi, gli fece alcune piccole raccomandazioni poi lo abbracciò forte e con quell’abbraccio gli disse tutte quelle cose che a parole è difficile raccontare: ormai sei grande, non impensierire tua madre. Non trascurare gli studi, ma soprattutto dai il meglio di te in ogni cosa che farai. Starò via solo alcuni giorni, poi tornerò. Aspettami. Sei il più grande miracolo che io abbia mai visto in vita mia. Lamine abbracciò a lungo anche sua moglie. Pelle d’ebano. Era incinta e avrebbe partorito il fratellino di Amadou nel giro di un mese, per questo decise di andare in Senegal da solo.
-Allora sei un clandestino? Provò a insistere il controllore. Con cosa sei arrivato in Italia?
-Ma quale clandestino? Sono nato qua. Né gommone, né aereo. Sono proprio nato qua, come Mudimbi, il cantante che è andato a San Remo!
-Beh comunque la multa non te la toglie nessuno caro Mudimbi. Chi sbaglia paga (in Italia)!
-Sono d’accordo, rispose socratico Amadou. Appena avrò i soldi pagherò.
La mano destra del controllore andò sicura a cercare la penna agganciata al taschino della camicia, ma se solo avesse avuto un attimo di pazienza e ascoltato bene il timbro della voce e non si fosse fermato alla superficie, sicuramente avrebbe udito qualcosa: avrebbe percepito la storia di Amadou, il primo italiano nero che parla un dialetto misto tra lombardo e romano e ha un incisivo d’argento. Avrebbe saputo che da bambino era perfettamente tranquillo e spensierato e che da grande sognava di diventare un uomo elegante e gentile come suo padre. Gli sarebbe piaciuto fare un mestiere importante e nel tempo libero si sarebbe occupato di aiutare i Paesi africani che sono molto poveri. Magari portando loro cibo o finanziando la costruzione di pozzi per l’acqua.
Un giorno il padre di Amadou partì per un viaggio triste. Di solito viaggiare è una cosa bella, ma quella volta partì perché era morta la nonna, che viveva in Senegal. Purtroppo Amadou e sua madre non poterono seguirlo perché lei era incinta e poco dopo avrebbe partorito. Il viaggio poteva compromettere la salute del nuovo bimbo. Il giorno della partenza Amadou si specchiò negli occhi di suo padre, ascoltò alcune piccole raccomandazioni poi lo abbracciò forte e con quell’abbraccio gli disse tutte quelle cose che a parole è difficile raccontare: ormai sono grande, cercherò di non impensierire la mamma. Farò sempre i compiti, ma soprattutto darò il meglio di me in ogni cosa che farò. Ti prego, torna presto. Ti aspetto. Sei il mio supereroe. Lamine salì sull’aereo e volò altissimo nel cielo, dov’è tutto azzurro, sopra le nuvole, molto vicino alle stelle.
-I documenti almeno ce li hai?
-Eccoli…
-Quindi è vero, sei proprio nato in Italia!
-Già.
-In sto mondo non si capisce più niente…dove andremo a finire?
La testa del controllore oscillò a destra e a sinistra in segno di disapprovazione. Quella storia non lo convinceva fino in fondo. Gli venne in mente un vecchio film in cui dei narcotrafficanti messicani erano riusciti a falsificare i documenti e a oltrepassare il confine con gli Stati Uniti. Poi pensò a Balotelli e a quel super gol che segnò contro la Germania agli Europei del 2012, ma se solo avesse avuto un attimo di pazienza in più e non si fosse fermato alla superficie. Forse avrebbe riconosciuto il battito del cuore. Bu-bum bu-bum. Sicuramente avrebbe avvertito qualcosa: avrebbe percepito la storia di Amadou, il primo italiano nero che parla un dialetto misto tra lombardo e romano, ha un incisivo d’argento e ha la faccia che sembra un delinquente. Avrebbe saputo che quando aveva dieci anni il suo passatempo preferito era giocare a calcio con i suoi amici al campetto. Se la cavava piuttosto bene e ogni volta che segnava i suoi compagni lo chiamavano George Weah, come il mitico attaccante liberiano
che giocava nel Milan, la sua squadra del cuore. Se fosse diventato molto forte, allenandosi duramente, magari un giorno avrebbe potuto giocare nella selezione nazionale. Casacca azzurra ovviamente.
Un giorno la madre di Amadou, che si chiamava Jasmine, pianse per due motivi: primo, era morta la nonna; secondo, suo marito Lamine fu costretto a partire in Senegal per assistere al funerale. Jasmine sarebbe certamente andata insieme a tutta la sua famiglia, ma siccome era all’ottavo mese di gravidanza fu costretta a restare in Italia insieme ad Amadou. Era meglio non rischiare. Il triste giorno della partenza Jasmine osservò Lamine e suo figlio che si abbracciavano. Si sentì davvero fortunata e capì che con quell’abbraccio si dissero tutte quelle cose che a parole è difficile raccontare. Poi anche lei abbracciò il marito. Sentì sussurrare non piangere, con un filo di voce. Lei non riuscì bene a rispondere, ma si lasciò accarezzare i capelli e accolse un piccolo bacio dolce che le sfiorò la fronte. Si amavano tantissimo. Amadou, nei suoi calzoncini blu li guardava con ammirazione. Era un bambino davvero felice.
Amadou soppesò il foglietto della contravvenzione. C’era scritto che doveva pagare 34,20 euro di multa. A dirla tutta si era sentito un po’ umiliato: da una parte era l’ennesima volta che qualcuno lo scambiava per chissà quale categoria di extracomunitario, dall’altra non aveva acquistato il biglietto perché in quel periodo era davvero senza soldi e per la prima volta era stato costretto a chiedere persino un pasto caldo alla mensa della Caritas. Aveva niente meno bisogno di un lavoro per uscire da quella situazione così poco dignitosa. Crescendo era riuscito a capire che quando la vita ti mette di fronte a situazioni inaspettate o improvvise è inutile piangersi addosso o arrabbiarsi con l’universo. Bisogna rimboccarsi le maniche e lottare, perché le regole del mondo, spesso sono spietate. Se hai paura vieni messo alle corde e perdi la partita.
Pensò a quando partì suo padre. Ai giorni che passavano e a lui che non tornava, anche se glielo aveva promesso: uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, quindici…a un certo punto perse il conto. Quanti giorni erano passati?
-Quando torna papà? Chiedeva alla mamma ormai prossima al parto.
E lei rispondeva che era dovuto ripartire per lavoro, che sarebbe stato via per un po’ di tempo, ma che doveva stare tranquillo. Cercava di calmarlo ma le si leggeva in faccia che era successo qualcosa. Spesso la vedeva singhiozzare in cucina mentre preparava da mangiare. Amadou non stava tranquillo. Proprio per niente. Voleva rivedere il suo papà, a tutti i costi. Persino il giorno in cui nacque il piccolo Fortunato, Amadou era triste. Non riusciva a voler bene a quella piccola creatura che gli aveva portato via il suo Supereroe.
-Io non voglio Fortunato, io voglio il mio papà! Gridò un giorno alla mamma.
Molti amici e parenti andavano a trovarli a casa in quei giorni. Soprattutto gli zii. E Amadou non perdeva occasione di chiedere a tutti se avessero visto suo padre o avessero notizie di lui, ma niente. Così si arrese all’idea che Lamine fosse davvero impegnato in un lavoro
importante in giro per il mondo: Francia, Germania, Sudafrica, Canada, Inghilterra…in fondo era una persona importante e forse qualcuno aveva bisogno di lui per migliorare qualche parte del mondo che stava andando in rovina.
I mesi passavano e Amadou era sempre più inquieto. Una dottoressa che diceva di chiamarsi Assistente Sociale iniziò a frequentare la loro casa e convinse la madre a inserire il figlio in un collegio privato affinché lui potesse essere maggiormente seguito e Jasmine dedicarsi con più attenzione a Fortunato. Ma l’esuberanza di Amadou col passare del tempo si trasformava in rabbia.
La verità arrivò fredda come l’inverno, un giorno qualunque per bocca di uno zio:
-Tuo padre è morto, gli disse cercando di dare respiro alle parole. Mentre tornava dal funerale di tua nonna fece un incidente d’auto e perse la vita. Mi dispiace.
Amadou prese la multa e di rabbia la accartocciò. Scese una lacrima che aveva lo stesso sapore di quelle che versò davanti a suo zio quando gli diede quella terribile notizia. Quante altre volte si trovò a piangere da solo, senza farsi vedere da nessuno nei corridoi infiniti del collegio. Quante volte odiò l’aereo che si portò via il suo papà e le bugie che tutti gli raccontavano per non vederlo soffrire. Poi riaprì il palmo, ridistese il foglietto, lo piegò con cura e lo mise dentro il portafoglio.
-Questa volta vinco io, si disse, non vincerà di nuovo la mia rabbia. 
Io sono un italiano vero!

di Matteo Donati

Nessun commento: