Entrare
nel centro storico di l'Aquila a sei anni di distanza dal terremoto
provoca un certo smarrimento negli occhi di chi osserva: ci si
aspetta di trovare segni forti di ricostruzione, invece sembra di
entrare in un reparto di ortopedia edile, con zone off-limit
invalicabili, enormi impalcature, sostegni, muri di contenimento. Un
centro completamente svuotato del suo senso, privo di vita e dei suoi
abitanti. Un corpo senz'anima. Ci si imbatte in qualche squadra di
muratori impegnati in uno dei tanti cantieri o in gruppi di turisti
che mestamente visitano le rovine, come si potrebbe fare con i resti
di una città antica. Poi, nella piazza centrale, si scorge una
scritta, che è il segno di chi non si arrende: “L'Aquila rinasce”.
E nella testa di chi legge sorge subito una domanda: “ma quando?”...
Dal
16 al 18 aprile i giornalisti FISC si sono dati appuntamento nel
capoluogo abruzzese per riflettere sul tema della ricostruzione
dell'Italia a partire dalla tragedia che ha colpito il popolo
aquilano. E' stata un'occasione molto importante per capire come
si racconta una catastrofe, tenendo conto degli aspetti deontologici
legati alla professione e di quelli etici, perché il dovere di
cronaca non leda in alcun modo il rispetto della persona. Numerosi
gli interventi da parte di illustri rappresentanti del giornalismo
nazionale e della politica.
Ma
le testimonianze più significative sono state offerte dai
giornalisti che alle 3.32 del 6 aprile 2009 si trovavano proprio a
L'Aquila e per primi hanno avuto l'arduo compito di raccontare al
mondo intero cosa fosse successo quella notte e cosa sarebbe accaduto
dopo, mano a mano che la luce del giorno illuminava i contorni di una
lunga e dolorosa pagina di cronaca nera.
Indossavano
una doppia veste: vittime del terremoto da una parte, testimoni
professionali dall'altra, sempre in bilico tra il coinvolgimento del
dolore e la freddezza dell'informazione. Ed eccoli uscire dalle loro
case, quando ancora non erano giunti i primi soccorsi, col cuore che
batteva impazzito, increduli per ciò che vedevano, nel buio totale
delle strade. La paura per i familiari e per le proprie abitazioni.
La puzza di gas ovunque, le urla della gente e le macchine che
fuggivano come impazzite. Le prime ore di totale e completo shock. Ma
una forza istintiva li invitava a non arrendersi, nonostante il
continuo susseguirsi delle scosse. Il mondo aspettava il loro
racconto e ognuno ha prestato la propria voce, chi con la telecamera
in spalla e un faretto usato anche per fare luce agli scavi, chi con
la macchina fotografica, chi semplicemente con lo sguardo e una penna
o un telefonino che stentava a prendere campo.
Oggi
la città che tutti ricordano non c'è più e forse gli aquilani non
avranno più la loro identità, ma è giusto raccontare la realtà
per non dimenticare ciò che è stato e per arrivare alla domanda più
importante, che non può restare sepolta sotto le macerie: quale
futuro per L'Aquila?
A
cura di Matteo Donati
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