La lettera di Karim Franceschi, senigalliese, militante dello
Spazio Comune Autogestito Arvultùra, arruolato come volontario nell’YPG (Forze
di Difesa del Popolo), attualmente a Kobane.
Abbiamo capito che era vero solo quando ci ha mostrato i
biglietti aerei e lasciato questa lettera, dicendoci poi di scegliere noi il
momento più opportuno per renderla pubblica...
Non sappiamo come nel campo di battaglia che è Kobane, Karim
abbia incontrato una troupe italiana di Vanity
Fair ed abbia deciso
di rilasciargli una intervista.
A questo punto, però, ci sembra opportuno rompere il silenzio
per primi, in modo da non lasciare spazio a possibili e pericolose
strumentalizzazioni politiche, in primis sulla pelle di un nostro compagno e
poi su quella di tutti noi.
Per quanto ci riguarda, la scelta che Karim ha fatto è
coraggiosa, di grande generosità e umanità. Una scelta partigiana. Ecco perché
le prime e più importanti parole devono essere le sue.
Spazio Comune Autogestito
Arvultùra
Di seguito la lettera di Karim
Franceschi.
Senigallia, 7/1/2015
I movimenti che in Italia
aspirano ad essere rivoluzionari, hanno riconosciuto il proprio corrispettivo
nel Rojava e si stanno muovendo per la costruzione di una rete d’aiuti
efficace. Dalle staffette alle arance di Rosarno, la solidarietà per Kobane si
è trasformata in aiuto concreto; un contributo alla lotta.
La mia interpretazione della
realtà materiale, però, è che in un contesto di guerra come è quello nel
kurdistan siriano, qualunque sforzo al di fuori di quello militare, per quanto
nobile e condivisibile, rischia di limitarsi semplicemente a tamponare il
sangue senza però curare la ferita.
Il Rojava, oggi, non è un’autonomia democratica, ma un campo di battaglia.
Il Rojava, oggi, non è un’autonomia democratica, ma un campo di battaglia.
Sono rimasto sorpreso quando ad
una mia affermazione, in cui distinguevo la politica dalla guerra, l’ex
governatore del cantone di Kobane mi disse: la guerra è politica.
Dare sollievo ai tanti profughi in fuga dalla guerra è cosa buona, ma credo che nel Rojava e solo nel Rojava, tramite la sua resistenza, si deciderà il destino di quell’esperimento politico che si definisce “confederalismo democratico”: una via laica, femminista, ecologista e di autodeterminazione nel Medio Oriente.
Dare sollievo ai tanti profughi in fuga dalla guerra è cosa buona, ma credo che nel Rojava e solo nel Rojava, tramite la sua resistenza, si deciderà il destino di quell’esperimento politico che si definisce “confederalismo democratico”: una via laica, femminista, ecologista e di autodeterminazione nel Medio Oriente.
Essere un rivoluzionario per me
significa essere là a condividere quella pratica di resistenza, guardando in
faccia la realtà senza distogliere lo sguardo, sconfiggendo la paura.
Sono partito per Kobane. Adesso mi aspetta un breve periodo di addestramento, dopo il quale farò quello che mio padre insieme a milioni di partigiani in Italia e nel mondo hanno fatto per difendere la libertà e la democrazia: combatterò in armi i fascisti del califfato nero.
Sono partito per Kobane. Adesso mi aspetta un breve periodo di addestramento, dopo il quale farò quello che mio padre insieme a milioni di partigiani in Italia e nel mondo hanno fatto per difendere la libertà e la democrazia: combatterò in armi i fascisti del califfato nero.
Imbracciare il fucile e mettere
la propria vita in gioco, è qualcosa di terrificante, eppure ogni
rivoluzionario ne riconosce la necessità, quando la situazione politica lo
richiede.
Il miei ideali di libertà,
giustizia ed uguaglianza non hanno confini nazionali o culturali. Oggi i miei
valori patriottici sono universali.
Karim Franceschi
Nessun commento:
Posta un commento