Il
fatto è che non era solo. In scena, dico. La sua forza è che non è solo. La
serata tv di Benigni di lunedì poteva essere il massimo della finzione. O il
massimo della autenticità. Come accade in molti momenti della vita, la partita
era apertissima. Accade in tanti momenti, in tante situazioni: al lavoro, nelle
aule di lezione o di convegno, in luoghi della convivenza. Recitare o esserci.
Era questo il rischio. L’ambito era quello destinato al massimo della finzione:
la tv, i lanci promozionali, la scommessa della audience. Poteva essere la cosa
più finta del mondo. Ma come fa un uomo a evitare la finzione? Come si fa a
essere se stessi? Si è autentici quando si “poeta” qualcosa di più grande e
autentico di se stessi, quando non si è soli, insomma quando quel che si
presenta non è solo frutto della presunzione personale o di qualche idea.
Benigni da solo ci ha parlato dei Dieci
Comandamenti. Ma come ha ripetuto spesso non erano parole solo sue. E infatti
era un dire colmo di gratitudine e meraviglia. Molti hanno parlato di azzardo.
Eppure c’era già da tempo più di qualche segno che parlare dei Dieci
Comandamenti in pubblico non sarebbe stato del tutto un azzardo e che esiste
una domanda di nuovo racconto di queste antiche e sempre nuove cose. Un segno veniva
ad esempio dall’esperienza condotta nei due anni scorsi in dieci piazze
italiane da tanti artisti (e con l’intervento di tante personalità della
cultura e in video dei due Papi) su iniziativa di Rinnovamento nello Spirito. Proprio
sui Comandamenti, le piazze piene.
E non sono stati pochi i momenti di “spettacolo”
che hanno rimesso in scena il patrimonio mistico e popolare della cultura
religiosa e cristiana. Dai festival di teatro del sacro ai grandi concerti di
Ambrogio Sparagna all’Auditorium di Roma fino agli spettacoli della foresta
della Grancìa o in tante piazze compresa quella del Duomo a Milano. L’anima
mistica e popolare dell’Italia, quella che non va giù agli intellettuali che
vorrebbero non far sorridere nei salotti francesi o di Londra, sta dando molti
segnali. La nostra cultura mistica e popolare, custodita dalla chiesa e dalla
gente.
Il gesto d’azzardo di Roberto Benigni, dunque, è
forse meno azzardato di quanto sembra, e ciò non va a suo demerito, ma conferma
il talento di un artista che sa interpretare meglio di altri il popolo a cui
appartiene con le sue bellezze, i suoi scempi, le sue risorse. Lo abbiamo visto
in tanti, girando per piazze e teatri che il racconto di ciò che è sacro, alto
e meraviglioso per la tradizione religiosa e cristiana interessa spesso come
cosa nuova, come scoperta e come momento di libertà in mezzo a troppi discorsi
corretti e costretti. In mezzo a troppe parole di plastica, parole finalmente
umane. Poteva dunque essere il massimo della finzione.
E lo sarebbe stata, anche al di là della bravura
dell’attore e della sua partecipazione emotiva, se fosse stata la serata solo
sua. Se fosse stata una trovata, una invenzione. Una cosa bizzarra e
individualista. Invece no, la forza di Benigni è di non essere solo. Quel suo
presentarsi quasi da folletto casuale sulla scena è la massima conferma: lo
spettacolo è un uomo, ma un uomo che ha scelto di portare in scena ciò a cui
appartiene. Le storie, le parole, i proverbi, la sua mamma, il matto del paese,
i libri antichi e nuovi che ha letto, gli amici, i santi, i poeti. Questo one-man-show
è non a caso uno dei pochi momenti
in cui molti si riconoscono, come riascoltando qualcosa a cui si appartiene.
L’animo italiano, mistico e popolare, è fondato
su una consapevolezza, come ha detto Benigni all’avvio: la partita più vera
riguarda l’anima. Se non ci sentiamo in gioco del tutto, se non sentiamo di
rischiare di perder l’anima, la vita diventa sciocca, senza sale, senza
vivacità. La perdita peggiore del nostro tempo è una perdita d’anima, una
perdita di quel senso del rischio che rende più vivi gli uomini e meno
idolatri. Come si è visto, è “l’animazione” la protagonista della personalità
di Benigni. Il suo crisma. Un’anima personale e nutrita di cose comuni. «Dio
resuscita i vivi» ha detto a un certo punto. Parlava di qualcosa che gli
succede e che lo porta in scena, vivo come pochi. Appunto: spettacolo d’un
uomo.
Di Davide Rondoni, Avvenire, 17 dicembre 2014
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