mercoledì 26 marzo 2014

L'AMORE IN TRINCEA_nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, in onore dei soldati che l'hanno combattuta (Premio Piccolink 2008)

Cavezzano (Treviso), 11 ottobre 1918


Carissima e amata Egle,
nemmeno potete immaginare i mesi tanto infernali che o passato. Devo ringraziare profondamente Iddio se sono vivo e ancora mi resta un po’ di salute. Mi scuso con voi se per un così lungo tempo non o scritto nemmeno una lettera, ma la guerra toglie ogni forza. Spero che questa vi arrivi al più presto chè il nostro reggimento potrà godere di circa due mesi di riposo, salvo improvise mobilitazioni, poi, nei primi giorni di febraio, ci daranno la licenza per tornare qualche tempo a casa. Mi dovete anche scusare se troverete degli errori di scrittura, sapete che sono un po ignorante e o solo la quinta elementare...

Oh Egle, mia amata, sto contando i giorni che ancora ci separano. Ho tanta voglia di riabbracciarvi. Sono molto stanco e prego incessantemente che questa brutta guerra si fermi quanto prima. Ma lasciate che vi racconti ciò che i miei occhi hanno visto in questi giorni terribili di fame, lotta e mancanza di acqua.
Il 26 novembre 1917 doppo aver fatto saltare ponti, strade e architetture fatte da scalpellini e cimentori che lavoravano nel Genio, chè già si trattava di una immensa ritirata, si ricevette l’ordine di partire e d’impiegare meno tempo possibile perché gli austriaci avanzavano alla nostra destra e aveva messo piede in tutte le nostre fortificazioni e già invaso alcune città. S’erano trincerati sul Tagliamento e con audaci attacchi si lanciavano per traversare il torente. Dunque si partì tutta la compagnia lasciando indietro qualche squadra di uomini per incendiare i baraccamenti e far saltare la linea della corente eletrica che collegava a tutte le uficine messe da pochi mesi. Lungo il viagiare si notava che la cosa era molto disastrosa vedendo le povere donne e bambini privi di socorso. Nessuno avrebbe avuto tempo da perdere, chè si trattava di rimanere chiusi nelle mani del’aversario e non si sapeva poi come si poteva andare restando catturati. Una rovina di ,materiale buttato da ogni parte. I depositi delle munizioni delle artiglierie li facevamo scopiare prima che fosse possibile. Si vedeva poi quelle povere famigliole composte di parecchi bambini e qualche vecchio e misere donne che avrebbero fatto piangere i sassi dandosi alla disperazione, vedendosi abbandonare dai suoi cari e temendo di essere mal trattati dagli austriaci. Correvano lungo le strade e dispesso accadeva disgrazie di umicidi anche lì.
Finalmente si riuscì a oltrepassare i forti di Primolano e riuscimmo a prendere la strada che costegia la destra del Brenta. Doppo una giornata di camino si arrivò a Bassano Veneto. Allora si seppe che gli austriaci cimentavano già alla destra del Piave per difendere una parte del Veneto, chè l’altra era già andata. Sincominciò di nuovo a formare una linea di gran sostentamento. La 141ma Compagnia Zappatori del 2° Genio fortificava il Col Delarso e il Spinucia ove gli austriaci

Batevano con fucileria e mitraglia e bombardavano. Senza parlare dell’artiglieria che poi buttava granate disperatamente da destra a sinistra. Anche lì non bastava il tormento del nemico, ma anche laria lungo a quelle notti di rendeva tenace e terribile chè buttava a terra le persone gelandole. E tanta povera gente rimanevano là fra le tormenta. Ricordo bene che o pianto trovandomi trascinato da quella compressione daria e di neve fina e siutta che a avuto la forza di aterarmi. Diverse volte io diedi tutte le mie speranze nelle mani della Divina Onnipotenza rasegnandomi al celo perché da solo non sapevo più confortarmi. Che non mi vedevo altro che a giacere la in mezzo come era successo ad altri. Poi le speranze non mi abbandonavano mai.
Finalmente il 17 aprile del 1918 si andò a riposo e là si stava un  po tranquilli, ringraziando il Celo degli avenimenti passati. Alla fine di maggio si riprese di nuovo a far parte alla prima linea e si aspettava da un giorno allaltro l’ofensiva del’avversario, ma la stagione non permetteva mai e fu obligato a prorogare di molti giorni.
Il nemico si scatenò il giorno 15 giugno 1918 che poi si era impadronito di quasi tutta la nostra prima linea dal monte Medate stendendosi alla nostra sinistra fino all’Asolone e là aveva anche fatto progresso sugli alti piani di Asiago e riuscirono a traversare il Piave. Anzi, fu poi lì ove fu abbattuto il celebre Maggior Baracca, maestro pilota che per quasi tutto il mondo è stato publicato.
Dunque in questa resistenza io mi trovavo in retrovia, si come gli austroungarici si erano impadroniti di quelle parecchie posizioni nostre. Morivano anche loro come mosche, ma non avrebbero voluto cedere a noi itagliani quelle nuove posizioni chè a loro gli avevano detto che dovevano arrivare fino al Po’. E questo si è saputo per mezzo dei prigionieri fatti dai nostri Arditi e dalla Brigata Ravenna. Io allora funzionavo come conducente dei Zappatori del 2° Genio del Regio Esercito Italiano e mi trovavo in linea per parecchie volte di giorno e di notte.
Alla mattina del 24 giugno 1918 alle ore due si partì coi muli per portare i viveri al nostro ricovero. Si cercava di viaggiare di notte più che era possibile perché di giorno era una strada troppo sotto l’occhio del nemico chè si viagiava da Val Melin a Cason del Sole poi di giungeva a Col Delarso ove cera la Compagnia acampata. Un conducente dei Bombardieri ci avisò che di fra un’ora avrebbe aperto il fuoco accelerato e che i nostri avevano l’ordine di andare al’asalto. Allora, giunte le tre del matino si aprì il bombardamento. S’incrociavano i tiri da destra e da sinistra e si vedeva l’aria tutta rossa di foco che sembrava l’Oniversale. Anche loro rispondevano con intenso bombardamento con tiri misuratissimi e si temeva di un grosso attacco di gas esfisianti, ma fortunatamente l’aria respirò sempre a nostro favore chè altrimenti sarebbero stati guai ancora più dificili. Lungo a quel vallone cadeva una fitta tempesta di ferro e foco e lì non vi era né rifugio né gallerie. I feriti era costretti a medicarli là a campo aperto, sotto ai tiri. E anche sucedeva che talvolta arivava qualche proietile e splodeva a una misura giusta che centrava la barella, i feriti ei quattro sanitari. Lì dunque non si pensava più alle cose del mondo, ma si pensava che l’ora del morire poteva essere prossima. Si vedeva soldati sani e robusti che scapavano di corsa per portarsi fuori dal tratto pericoloso e tutto a un tratto erano colpiti in pieno corpo e saltavano a tocchi che parevano trebiati. Per un lungo periodo si restò lì sul Grappa, si subì diverse perdite, poi, finalmente, 10 ottobre siamo venuti a riposo a Cavezzano presso di Treviso che ci si doveva stare lì un mese.
Oh dolce Egle, mi trovo davvero in triste condizione e vi prego, quando sarà il giorno che vi potrò rivedere non vi spaventate. La mia divisa è strappata del tutto e in fangata che non si riconosce il proprio colore, il cappello è senza piumetto e le scarpe tutte rotte. Vi farò piangere, forse, ma prometto che cercherò di rimettermi e di tornare in salute come un tempo. Tanto mi sono trovato con la fame che un giorno passeggiando per un giardino vidi un torsolo di pane in mezzo a l’erba ben carico di formiche e insetti che forse anche loro lo mangiavano perché avevano fame. Io, mi fece tanta voglia che lo raccolsi, lo liberai dagli animali e lo mangiai e lo saporavo e lo gustavo tanto.
Oh Egle cara, in questi giorni di pace ho anche scritto una poesia per voi, ma non voglio svelarvela ora. Desidero recitarla a memoria mentre guardo diritto i vostri occhi neri, stringendovi leggermente la mano. Voglio tornare presto perché sento con tutto il cuore che vi voglio sposare e con voi vivere felice, anche se poi dovrò fermarmi a Faenza per pochi giorni perché richiamato al fronte.

Ho scritto queste cose solo perché sappiate e manteniate vivo il mio ricordo. Vi chiedo umilmente di pregare per me e per l’anime dei miei compagni fatalmente caduti sotto il foco nemico.
 Vostro affezionatissimo, Altide
Racconto di Matteo Donati


       

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