Cavezzano
(Treviso), 11 ottobre 1918
Carissima e amata Egle,
nemmeno potete immaginare i mesi tanto
infernali che o passato. Devo ringraziare profondamente Iddio se sono vivo e
ancora mi resta un po’ di salute. Mi scuso con voi se per un così lungo tempo
non o scritto nemmeno una lettera, ma la guerra toglie ogni forza. Spero che questa
vi arrivi al più presto chè il nostro reggimento potrà godere di circa due mesi
di riposo, salvo improvise mobilitazioni, poi, nei primi giorni di febraio, ci
daranno la licenza per tornare qualche tempo a casa. Mi dovete anche scusare se
troverete degli errori di scrittura, sapete che sono un po ignorante e o solo
la quinta elementare...
Oh Egle, mia amata, sto contando i
giorni che ancora ci separano. Ho tanta voglia di riabbracciarvi. Sono molto
stanco e prego incessantemente che questa brutta guerra si fermi quanto prima.
Ma lasciate che vi racconti ciò che i miei occhi hanno visto in questi giorni
terribili di fame, lotta e mancanza di acqua.
Il 26 novembre 1917 doppo aver fatto
saltare ponti, strade e architetture fatte da scalpellini e cimentori che
lavoravano nel Genio, chè già si trattava di una immensa ritirata, si ricevette
l’ordine di partire e d’impiegare meno tempo possibile perché gli austriaci
avanzavano alla nostra destra e aveva messo piede in tutte le nostre fortificazioni
e già invaso alcune città. S’erano trincerati sul Tagliamento e con audaci
attacchi si lanciavano per traversare il torente. Dunque si partì tutta la
compagnia lasciando indietro qualche squadra di uomini per incendiare i
baraccamenti e far saltare la linea della corente eletrica che collegava a
tutte le uficine messe da pochi mesi. Lungo il viagiare si notava che la cosa
era molto disastrosa vedendo le povere donne e bambini privi di socorso.
Nessuno avrebbe avuto tempo da perdere, chè si trattava di rimanere chiusi
nelle mani del’aversario e non si sapeva poi come si poteva andare restando
catturati. Una rovina di ,materiale buttato da ogni parte. I depositi delle
munizioni delle artiglierie li facevamo scopiare prima che fosse possibile. Si
vedeva poi quelle povere famigliole composte di parecchi bambini e qualche
vecchio e misere donne che avrebbero fatto piangere i sassi dandosi alla
disperazione, vedendosi abbandonare dai suoi cari e temendo di essere mal
trattati dagli austriaci. Correvano lungo le strade e dispesso accadeva
disgrazie di umicidi anche lì.
Finalmente si riuscì a oltrepassare i
forti di Primolano e riuscimmo a prendere la strada che costegia la destra del
Brenta. Doppo una giornata di camino si arrivò a Bassano Veneto. Allora si
seppe che gli austriaci cimentavano già alla destra del Piave per difendere una
parte del Veneto, chè l’altra era già andata. Sincominciò di nuovo a formare
una linea di gran sostentamento. La 141ma Compagnia Zappatori del 2° Genio
fortificava il Col Delarso e il Spinucia ove gli austriaci
Batevano con fucileria e mitraglia e
bombardavano. Senza parlare dell’artiglieria che poi buttava granate
disperatamente da destra a sinistra. Anche lì non bastava il tormento del
nemico, ma anche laria lungo a quelle notti di rendeva tenace e terribile chè
buttava a terra le persone gelandole. E tanta povera gente rimanevano là fra le
tormenta. Ricordo bene che o pianto trovandomi trascinato da quella compressione
daria e di neve fina e siutta che a avuto la forza di aterarmi. Diverse volte
io diedi tutte le mie speranze nelle mani della Divina Onnipotenza rasegnandomi
al celo perché da solo non sapevo più confortarmi. Che non mi vedevo altro che
a giacere la in mezzo come era successo ad altri. Poi le speranze non mi
abbandonavano mai.
Finalmente il 17 aprile del 1918 si andò
a riposo e là si stava un po tranquilli,
ringraziando il Celo degli avenimenti passati. Alla fine di maggio si riprese
di nuovo a far parte alla prima linea e si aspettava da un giorno allaltro
l’ofensiva del’avversario, ma la stagione non permetteva mai e fu obligato a
prorogare di molti giorni.
Il nemico si scatenò il giorno 15 giugno
1918 che poi si era impadronito di quasi tutta la nostra prima linea dal monte
Medate stendendosi alla nostra sinistra fino all’Asolone e là aveva anche fatto
progresso sugli alti piani di Asiago e riuscirono a traversare il Piave. Anzi,
fu poi lì ove fu abbattuto il celebre Maggior Baracca, maestro pilota che per
quasi tutto il mondo è stato publicato.
Dunque in questa resistenza io mi
trovavo in retrovia, si come gli austroungarici si erano impadroniti di quelle
parecchie posizioni nostre. Morivano anche loro come mosche, ma non avrebbero
voluto cedere a noi itagliani quelle nuove posizioni chè a loro gli avevano
detto che dovevano arrivare fino al Po’. E questo si è saputo per mezzo dei
prigionieri fatti dai nostri Arditi e dalla Brigata Ravenna. Io allora
funzionavo come conducente dei Zappatori del 2° Genio del Regio Esercito
Italiano e mi trovavo in linea per parecchie volte di giorno e di notte.
Alla mattina
del 24 giugno 1918 alle ore due si partì coi muli per portare i viveri al
nostro ricovero. Si cercava di viaggiare di notte più che era possibile perché
di giorno era una strada troppo sotto l’occhio del nemico chè si viagiava da
Val Melin a Cason del Sole poi di giungeva a Col Delarso ove cera la Compagnia
acampata. Un conducente dei Bombardieri ci avisò che di fra un’ora avrebbe
aperto il fuoco accelerato e che i nostri avevano l’ordine di andare al’asalto.
Allora, giunte le tre del matino si aprì il bombardamento. S’incrociavano i
tiri da destra e da sinistra e si vedeva l’aria tutta rossa di foco che
sembrava l’Oniversale. Anche loro rispondevano con intenso bombardamento con
tiri misuratissimi e si temeva di un grosso attacco di gas esfisianti, ma
fortunatamente l’aria respirò sempre a nostro favore chè altrimenti sarebbero
stati guai ancora più dificili. Lungo a quel vallone cadeva una fitta tempesta
di ferro e foco e lì non vi era né rifugio né gallerie. I feriti era costretti
a medicarli là a campo aperto, sotto ai tiri. E anche sucedeva che talvolta
arivava qualche proietile e splodeva a una misura giusta che centrava la
barella, i feriti ei quattro sanitari. Lì dunque non si pensava più alle cose
del mondo, ma si pensava che l’ora del morire poteva essere prossima. Si vedeva
soldati sani e robusti che scapavano di corsa per portarsi fuori dal tratto
pericoloso e tutto a un tratto erano colpiti in pieno corpo e saltavano a
tocchi che parevano trebiati. Per un lungo periodo si restò lì sul Grappa, si
subì diverse perdite, poi, finalmente, 10 ottobre siamo venuti a riposo a
Cavezzano presso di Treviso che ci si doveva stare lì un mese.
Oh dolce Egle, mi trovo davvero in
triste condizione e vi prego, quando sarà il giorno che vi potrò rivedere non
vi spaventate. La mia divisa è strappata del tutto e in fangata che non si
riconosce il proprio colore, il cappello è senza piumetto e le scarpe tutte
rotte. Vi farò piangere, forse, ma prometto che cercherò di rimettermi e di
tornare in salute come un tempo. Tanto mi sono trovato con la fame che un
giorno passeggiando per un giardino vidi un torsolo di pane in mezzo a l’erba
ben carico di formiche e insetti che forse anche loro lo mangiavano perché
avevano fame. Io, mi fece tanta voglia che lo raccolsi, lo liberai dagli
animali e lo mangiai e lo saporavo e lo gustavo tanto.
Oh Egle cara, in questi giorni di pace
ho anche scritto una poesia per voi, ma non voglio svelarvela ora. Desidero
recitarla a memoria mentre guardo diritto i vostri occhi neri, stringendovi
leggermente la mano. Voglio tornare presto perché sento con tutto il cuore che
vi voglio sposare e con voi vivere felice, anche se poi dovrò fermarmi a Faenza
per pochi giorni perché richiamato al fronte.
Ho scritto queste cose solo perché sappiate
e manteniate vivo il mio ricordo. Vi chiedo umilmente di pregare per me e per
l’anime dei miei compagni fatalmente caduti sotto il foco nemico.
Racconto di Matteo Donati
Nessun commento:
Posta un commento