Iniziai ad
avvicinarmi al Centro di ascolto della Caritas, circa due anni fa. Continuavo a
vedere, per le vie del centro e ai semafori, gente che chiedeva l’elemosina,
una moneta per un panino. La notte, barboni infreddoliti, usciti da chissà
quale mondo, trovavano riparo nei sottoscala, nei tiepidi anfratti di un
porticato o sull’uscio di banche, uffici postali. Io vivevo, imperterrito, la
mia vita, interrogandomi su quel dolore che mi prendeva allo stomaco, ogni
qualvolta assistessi a queste scene. Quanto sarebbe durata la mia indifferenza?
Quanto avrei resistito a quel richiamo di fratellanza che mi spingeva verso
esseri umani più soli e sfortunati di me?
Un giorno decisi di entrare: volevo che il mio lavoro,
diventasse un piccolo aiuto per questa gente, dedicare una minima parte della
mia vita alla solidarietà e conforto dei poveri, degli emarginati, dei
senzatetto, dei senzalavoro, dei senzacasa, dei senza permesso di soggiorno,
dei senz’amici. Eppure, ognuno di essi, ha una storia da raccontare, un
susseguirsi di traversie, di fughe, di speranze. L’ambulatorio è una piccola
stanza colorata da mille racconti, da lacrime, sorrisi, strette di mano. Una
scrivania, un vecchio computer, un lettino per le visite, qualche scatolone di
medicinali, donati da chi ha perso un familiare ed una cassettiera, anch’essa
stipata di compresse, sciroppi, pomate. Due giorni a settimana, assieme ad
altri due medici e due infermieri, dedichiamo un paio d’ore, alle esigenze,
elementari, vitali, di chi frequenta la Caritas: extracomunitari, clandestini,
badanti , zingari. Ma anche italiani che hanno perso il lavoro, la casa,la
speranza. Ognuno col proprio bagaglio, carico di kilometri, paure, delusioni.
Ognuno con l’illusione che qualcuno si accorga di lui, col sogno di un lavoro,
di un letto, di un dolore che passerà. I minuti di una visita, si trasformano
in un angolo di parole, racconti, romanzi di vite intense, pregne di ostacoli;
gli occhi si bagnano di lacrime , perché le ferite fanno ancora male e i segni
forse, non se ne andranno mai da quella pelle ruvida, aspra, marchiata dal
fango, dalla polvere, dal freddo. Puoi leggere i loro occhi, ascoltarli,
inciampare nei vocaboli di paesi lontani e vedere l’attaccamento ad una vita,
anche se ingrata, spietata, ma pur sempre vita; la devozione per una fugace
condivisione, per un ascolto, impagabile e qualche scatola di medicinali,
riposta nelle tasche dei nostri vecchi cappotti o nelle buste, compagne di
viaggio e un sorriso, quello di un arrivederci, quello che ti porti a casa e ti
fa stare bene, quello che ti sveglia, in mezzo alla notte e ti spinge a fare
qualcosa di più. Perché è misera cosa un ambulatorio aperto quattro ore a
settimana. Perché hai bisogno di un dentista, che risolva
il dolore di una carie, dell’ortopedico, che si occupi di un osso
fratturato, dell’oculista, di un ginecologo, del dermatologo, di una ricetta
rossa, che ti apra le porte di uno studio o di una farmacia. Ecco allora l’idea
di questo breve racconto di vita, la richiesta, rivolta a te che leggi,
di un aiuto! Ci servono specialisti, cui poter indirizzare, coloro che non
possono intraprendere il tortuoso iter burocratico-legale, coloro che l’ufficio
anagrafe e il distretto sanitario, fedeli ed indomiti alleati, non possono tutelare
ed assistere e ci servono medicinali da banco e non solo; è un appello a
combattere l’indifferenza, un appello alla partecipazione, alla solidarietà,
alla volontà di cambiare, per sé e per gli altri. Questo è il numero del Centro
di Ascolto, per tutti quello che decideranno di aiutarci … 0721/33819.
Dott. Gianluca Cecconi
Dott. Gianluca Cecconi
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