La novità di questo natale pesarese è "Casa di
Simone". A distanza di quattro anni dall'apertura di "Casa Speranza,
in zona Fosso Sejore, alla periferia cittadina, una struttura studiata per dare
una risposta ai 'senza dimora', la casa testimonia che risollevarsi è
possibile. Lo conferma Matteo Donati, responsabile del Centro di Ascolto della
Caritas diocesana, che - alla domanda, che molti gli pongono - sulla sorte dei
primi ospiti della struttura, risponde che “si stanno raccogliendo risultati
sorprendenti.
E'
vero, qualcuno si è perso (o è finito in carcere o è deceduto), ma tutti gli
altri hanno preso sul serio la proposta di cambiare vita. Non hanno perso la
"speranza". Sei di loro hanno avviato l'esperienza dell'autogestione
guidata, in un'abitazione del centro, in via Luca della Robbia". Si chiama
"Casa di Simone" perché è
sostenuta dall’Associazione I Bambini di Simone che a sua volta prende il nome
da un giovane prematuramente scomparso. Presidente è Paola Ricciotti che
racconta questi primi mesi di attività sottolineando come “Oltre a questa realtà, in cui gli ospiti
vivono senza operatori, ma seguendo un regolamento preciso, altri vivono in
appartamenti privati. La condizione che li accomuna è che non sono più persone
di strada. Non sono più quelle persone che la gente usa definire 'barboni…”
"Questa novità, spiega don Marco Di Giorgio, direttore della Caritas, non
è dovuta solo al fatto che finalmente hanno un posto dove dormire e mangiare,
ma soprattutto a una condizione mentale diversa, perché hanno ritrovato la
dignità, qualcuno addirittura un lavoro, uno stage, mentre altri sono in
continua ricerca. Li stiamo accompagnando in un lungo percorso che dura ormai
da anni".
"Non basta, precisa Matteo, una settimana per rimarginare certe ferite.
L'accompagnamento è un cammino quotidiano, attraverso una fitta rete di
collaboratori volontari. Si richiede un impegno forte, che si concretizza, ad
esempio, nella decisione iniziale di non frequentare più i tipici luoghi di
emarginazione (parchi, mensa, centro di ascolto, alcol...). Poi si passa
attraverso l'individuazione di un programma personalizzato, perché ogni persona
ha le sue caratteristiche, le sue esigenze, e termina con l'autonomia. I
risultati che stiamo ottenendo ci incoraggiano, indicano che siamo sulla strada
giusta. Intanto siamo riusciti a abbattere il luogo comune secondo il quale
questa gente non subisce, ma sceglie la strada. Certo, forse dice di sceglierla
perché non ha alternative. Pensa di sceglierla. Quando, tuttavia, si propongono
alternative non retoriche, ma concrete, gli si illuminano gli occhi. Ecco,
conclude Matteo, questa e la strada che abbiamo scelto, continuiamo a seguire
la stessa direzione e pensiamo, oggi più di ieri, che alla fine, sia valsa la
pena cominciare.
Vincenzo Varagona, giornalista RAI, su Avvenire del 24 dicembre 2013
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