Qualche tempo fa, sistemando le carte
del mio ufficio, ho trovato una lettera che avevo quasi dimenticato. Rileggendola
mi sono tornate in mente tante cose. Ho rivisto in quelle poche righe la vita
di un uomo che si faceva chiamare il Marinaio perché prima di diventare un uomo
di strada è stato un grande avventuriero. Nato in sud America è stato membro di
molti equipaggi che hanno solcato i mari di luoghi remoti come la Patagonia, la
Terra del Fuoco, l’Amazzonia. Quello che so di quelle mete leggendarie lo devo
soprattutto a lui che me le ha descritte e mi ci ha accompagnato con la
fantasia. A volte ho pensato al Marinaio come a uno dei personaggi narrati dal
grande scrittore cileno Luis Sepùlveda nel suo Patagonia Express. Così ho
deciso di pubblicare questa lettera che di per sé potrebbe assomigliare a tante
altre, ma per quello che è avvenuto in seguito, ha assunto per me un
significato molto più profondo che conservo con cura nella raccolta dei miei
ricordi...
(Prima che la leggiate vorrei precisare
solo una cosa: non ho modificato quasi nulla del testo originale per non
togliere tutta la poesia che racchiude, perciò troverete anche degli errori di
lessico dovuti alla provenienza latino-americana. La lettera V spesso si legge
B, le doppie sono quasi sempre sbagliate, il verbo avere è regolarmente senz’acca
e sarebbe bene interpretarla a bassa voce con la cadenza romantica tipica delle
telenovelas).
Casa Circondariale di Basùra,1
marzo
Caro
Matteo,
e
la parola caro dice tutto. Oltre ad augurarti tutti i veni di questo mondo, auguro
tante cose buone per il tuo staff. Mi scuso se la presente a caratere
epistolare. Come potrai vedere dall’indirizo dal cui ti scrivo, destino a
bolluto che non vastabano i nove anni già presoferti in prigione. La vita a
volte è strana e ti porta dove vuole lei, ma ti voglio raccontare cos’è
successo…
…udite
udite…era una notte buia e tempestosa, una domenica di due settimane fa sono finito
dentro l’avitacolo di una Kraisler. Avevo in corpo, una per chiappa, ven due
iniezioni di cortisone perché quela maledetta domenica mi era uscita la spalla
destra e presso il pronto soccorzo di Basùra mi sono state applicate due
punture, più una fasciatura e mi anno fatto i raggi X.
Una
volta fuori, verso l’ora ventitré mi ano oferto un vichiere di sambuca e
secondo il mio analisi dell’accaduto l’unione di questi due composti mi a fatto
andare fuori strada. Mi sono spacato a cappa nel inpato. Il proprietario era
nell’avitacolo e io sono svenuto. Ma il pegio deve ancora venire. Lui a
chiamato gli svirri che guarda a caso erano dei suoi amici. Insanguinato come
ero la polizia non mi a portato all’ospitale vensì in gavia a la Questura. Il
proprietario del veiccolo invece si è fatto fare un certificato di sette giorni
denunciandomi per tentata rapina del suo telefonino. Cioè io abrei spacato il
vetro con la testa per imposesarmi di un telefonino…io ne o già tre di
telefoni! Da non credere!
Due
giorni dopo, la prima udienza si è svolta con la conbalida del arresto e il 30
marzo ci sarà la camera di consiglio per decidere se vendrà adotata la misura
di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno per
la durata di tre anni.
Eh
sì, questo enesimo cazzino te lo vollevo comunicare nel caso te per il giorno
30 puoi venire, se Dio te lo permete.
Per
me sareve asai importante perché da quando ti ho conosciuto o cappito che sei
un uomo buono e giusto. Magari puoi mettere una buona parolla al signor
magistrato.
Pensaci
ok? Se puoi adverte anche mio fratello.
p.s.
Dentro al mobile dei viveri ce uno zainetto contenente un fornellino e alcune
mie cose, tienimelo in custodia. Salutami Alverto e se puoi mandami abiti,
cafè, tabacco…
Ciao
querido, scribimi.
Y
viva la revoluziòn, siempre
Il
Marinaio
Quello che è
avvenuto in seguito a questa lettera è un fatto di cronaca che riporto così
come l’ho trovato qualche giorno più tardi sul quotidiano locale.
Litigio
in cella tra due detenuti, uno muore. Forse è infarto.
E’
successo nel carcere di Basùra. La persona morta era di origine sudamericana.
Basùra, 15 marzo 2011 – Un detenuto è
morto in carcere a Basùra dopo un litigio con un compagno di cella. Da un primo
accertamento dei medici, dovrebbe trattarsi di infarto. La persona morta è di
origine sudamericana, ma con cittadinanza italiana. Si chiamava V.G., aveva 47
anni, separato, ex operaio. Da circa un mese si trovava in carcere per il reato
di rapina, ma aveva già precedenti per furto. Da quanto è stato possibile
ricostruire, sembra che l’altra sera alle 22.30 in cella, sia divampato un
litigio tra i reclusi. Qualcuno accusava l’altro di non aver pulito bene il
gabinetto e viceversa.
Ci sarebbe stato anche un pugno sferrato
dal sudamericano all’altro compagno. Poi gli animi si erano placati e ognuno
era andato a letto. Soltanto che il 47enne, disteso sul letto, sembrava troppo
immobile. Per questo, gli altri due compagni di cella hanno provato a
scuoterlo, ma senza ottenere risposte. E’ stato chiamato il 118 e di lì a poco
il medico e gli infermieri hanno praticato delle terapie per far ripartire il
cuore. Ci sono anche riusciti. L’uomo è stato caricato e portato in ospedale,
ma è stato tutto inutile. L’uomo ha avuto un’altra crisi cardiaca ed è morto.
La procura ha deciso di far sottoporre il corpo ad autopsia per accertare le
cause del decesso, seppur ci siano elementi per affermare che si sia trattato
di un infarto. Si escludono comunque ferite da arma da taglio.
Ho parlato
personalmente con il medico che ha eseguito l’autopsia. Dice che a causare la
morte sia stato proprio un arresto cardiaco. Oltretutto risulta che il Marinaio
avesse problemi di cuore ereditati dalla madre. Io ci credo, suo fratello no.
Sostiene che sia tutto un complotto, che l’abbiano ucciso i suoi compagni di
cella e per non creare il “caso” qualcuno sia riuscito a insabbiare le prove e
depistare le indagini, trovando la scusa dell’infarto. Dice che era troppo
giovane e in salute per morire così, in circostanze a dir poco misteriose.
Insomma vuole scoprire chi è stato e vendicarsi uccidendolo con le sue mani.
Non nascondo che consolarlo è stato straziante. Informarlo della morte del
fratello insopportabile. Non lo avevo mai fatto prima.
Il giorno del suo funerale vado in
chiesa per assistere alla funzione. C’è poca gente, qualche volontario, due parenti
venuti da lontano che gli volevano bene nonostante tutto. Celebra il Cappellano
del carcere. Noto subito che il fratello del Marinaio non è presente. So già
dove trovarlo. Corro verso la roulotte in cui vive, a pochi passi dalla chiesa.
E’ ubriaco fradicio, a stento si regge in piedi. Si sta pettinando davanti a
uno specchio. E’ vestito in modo assurdo, sembra Jhon Travolta ne “La febbre
del sabato sera”. Indossa un vestito elegante grigio con sotto una camicia
bianca sbottonata sul petto. Ha i capelli lunghi e sciolti. Gli occhiali da
vista sul naso. Lo prendo sotto braccio e lo trascino al funerale. Mi sembra di
essere dentro a un film. Quando entriamo tutti si voltano a guardarlo mentre
avanza a zig zag sostenendosi a me. Sono un po’ imbarazzato. Si avvicina alla
bara dove riposa il Marinaio. Gli parla. Piange. Accarezza il legno con la
mano. Poi ci sistemiamo nel primo banco. Ondeggia di continuo sotto gli effetti
dell’alcol e per tutto il tempo cerco di impedire che cada a terra. Ogni tanto
chiama suo fratello ad alta voce mentre il sacerdote sconsolato continua la
celebrazione.
Non so dove sia adesso il Marinaio, mi
auguro in posto bellissimo in cui possa stare tranquillo e non soffrire
più.
L’importante è che ci sia il mare.
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