Cos’avrà pensato Jemima Segal prima di arrivare sulla spiaggia? Perché ha
scelto di coricarsi proprio lì, in riva al mare, dove il vento e il freddo di
queste gelide notti invernali mordono ancora più forti? I quotidiani locali
hanno ripreso la notizia più volte per mettere in luce i risvolti di una
tragedia che sembra dare poche spiegazioni. Nei titoli riecheggiavano parole
come “morte assurda, uccisa dal freddo, dramma della solitudine”, quasi a
lasciare intendere che è inutile cercare responsabilità, non ci sono colpevoli,
nessuno poteva evitarlo, è accaduto e basta.
Jemima, uno zaino e una coperta si addormentano sotto l’inclemente gelo di
gennaio. Immaginare il freddo, i brividi, il tormento è quasi impossibile.
Dicono che a un certo punto, gradualmente, si smetta di soffrire. Il corpo si
assidera un po’ alla volta, si entra in
uno stato confusionale e ci si addormenta. E’ una morte calma, silenziosa. Se
non ti vengono a salvare è la fine. All’alba del 6 gennaio, qualcuno ha notato
un corpo disteso sulla spiaggia, ha dato l’allarme, ma ormai era troppo tardi.
Inutili i tentativi di rianimazione. Jemima è morta. Con calma, in silenzio.
Stando ai dati Istat in Italia ci sono quasi 50 mila persone che vivono
senza casa, a Pesaro se ne contano alcune decine, ma la maggior parte trovano
riparo nelle varie strutture d’accoglienza. Chi non trova posto nella nostra
città chiede aiuto altrove, oppure si rifugia all’ospedale, presso la stazione
ferroviaria, in edifici abbandonati. In ogni caso cerca un riparo.
La morte di questa signora di 42 anni lascia a bocca aperta perché è
avvenuta in circostanze inspiegabili. Chi la conosceva bene ne parla come di
una persona schiva, che preferiva starsene da sola. E in effetti posso
testimoniare che negli ultimi quattro anni, da quando sono responsabile del
Centro di Ascolto della Caritas diocesana, non si è mai rivolta ai nostri
servizi. Ogni tanto frequentava i luoghi di ritrovo dei nostri ospiti, ma non
ha mai chiesto neppure un buono pasto per mangiare alla mensa dei poveri.
L’ultima volta in cui a Pesaro è morta una persona per strada era il 19
settembre 2010 , quando ci lasciò Massimo Mirigelli che viveva in una baracca
lungo il fiume Foglia. Da quel giorno tutti si accorsero di quanto fosse grave
il problema dei senza-tetto e il suo “sacrificio” ha dato il via a tante
iniziative e ha commosso l’opinione pubblica. Ma il caso di Jemima è diverso:
chi poteva intervenire e impedirle di abbandonarsi in quel modo? Se si riflette
bene fa ancora più paura: la solitudine, la depressione, il disorientamento,
sono mali che esistono e sono ben radicati nella nostra società, ma si
nascondono in luoghi un tempo impensabili, che sono le nostre case, i nostri
cuori. Luoghi fragili, continuamente esposti alle intemperie della vita e che a
volte, paradossalmente, sono ancora più invisibili di una tenda, sull’argine di
un fiume.
di Matteo Donati
Pubblicato ne Il Nuovo Amico, gennaio 2013
Pubblicato ne Il Nuovo Amico, gennaio 2013
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