venerdì 17 agosto 2012

LA CURDA

   
Adilè è una donna di etnia curda. La sua è una terra divisa tra Turchia, Iran e Iraq, con enclave in Siria, ma il fatto di essere ricchissima di prodotti naturali, tra cui il mitico petrolio, le ha gettato addosso un mucchio di guai. L’ha resa vittima di ingiustizie e violenze indicibili.
    Nei libri di storia il Kurdistan viene spesso ricordato come “Mezza luna fertile” grazie alla stretta vicinanza dei fiumi Tigri ed Eufrate. Il suo popolo vanta una cultura millenaria che la fa discendere forse dai medi, leggendari combattenti e rivoluzionari in nome del difesa del proprio territorio.
Adilè ha nel sangue la cultura e la rabbia dei suoi avi, ma questo non è bastato a risparmiare a lei e ai suoi conterranei una delle pagine più buie del popolo curdo.
    Quando Saddam Hussein decise di far fuori gli oppositori al proprio regime pensò bene di farlo in modo radicale organizzando uno sterminio dopo l’altro. I curdi rappresentavano un’opposizione molto scomoda e comparivano a caratteri maiuscoli sulla lista dei non desiderati. Il paese di Adilè fu preso di mira dal generale Alì Majid detto “Alì il chimico”, il quale fece un’incursione aerea con i gas nervini uccidendo più di cinquemila esseri umani, poi le sue truppe rasero al suolo ogni forma di vita col “napalm”. Tra i cadaveri ammucchiati nelle fosse comuni c’era anche quello del marito di Adilè.
    Lei e i suoi bambini si salvarono per miracolo: una cosa che forse si chiama destino volle che proprio quel giorno decidessero di andare a trovare uno zio che viveva a circa venti chilometri di distanza.
    Ci sono momenti in cui non ce la fai più. Vorresti che il mondo saltasse in aria con tutto ciò che contiene. Desideri solo che Dio, impietositosi di te, venga, ti sollevi da terra e ti porti nel suo paradiso celeste a godere della pace perpetua. Basta soffrire! Ma la vita a volte è incomprensibile e ti mette alla prova. Anche quando tutto sembra assurdo devi stringere i denti e andare avanti.
    Così ha fatto Adilè: le hanno ucciso il marito, raso al suolo la casa, tolto ogni speranza, ma non ha gettato la spugna. Che donna e che coraggio!
    Ha ingoiato l’ennesimo amaro boccone affidando i due figli al fratello ed è partita per l’Italia, cercando una svolta. Trova un lavoro come aiuto cuoca in un ristorante e quel che guadagna le da di che vivere e le permette di sostenere la famiglia lontana. Le cose finalmente vanno migliorando e si intravede una luce fioca dopo le tenebre. Adilè conosce un ragazzo italiano, si innamora di lui e decidono di sposarsi.
    Se oggi sono seduti in una panchina del primo binario della stazione di Basùra e mi raccontano la loro storia appoggiati ai bagagli è perché si stanno dirigendo verso l’aeroporto dove li attende un volo per il medio-oriente. Fra poche ore Adilè potrà riabbracciare i suoi figli che non vede da più di due anni; gli farà conoscere colui che sarà il loro nuovo padre e gli annuncerà che presto avranno un fratellino.
    E qui c’è una speranza: anche in basso, dove tutto sembra finire male, nascono storie che sembrano magiche e ci regalano un lieto fine, con l’aggiunta di un sorriso per l’avvenire.

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